lunedì 28 dicembre 2015

"17 Giugno 1907, Sergio Corazzini" di Rebecca di Santo

Infilava controvoglia la giacca bianca, lasciandola leggermente aperta sul foulard grigio, annodato come fosse una cravatta. Il ciuffo sulla fronte sembrava più pesante del solito; cercò di riavviarlo soffiando, come sua abitudine, ma niente, restava quasi fermo. In realtà era sporco. Negli ultimi giorni Gabriel non aveva assolutamente pensato a lavarsi. Dal lunedì, quello del 17 giugno, era calata sulla sua anima una tenda massiccia e nera. Il giorno dei funerali poi, aveva reso plumbea la primavera di Roma.
Mentre lo specchio rifletteva la sua immaginava impolverata, Gabriel continuava a sentire il lamento delle fontane di Piazza Navona. Al passaggio del feretro più di tutte aveva pianto la Fontana dei Quattro Fiumi. Più di tutte aveva raccolto le parole delle notti romane mentre Sergio e Gabriel si passavano poesie e tristezze, confidenze e qualche forma infantile di complicità. Ora Sergio stava iniziando a tacere per sempre. Gabriel avevo letto e riletto la sua “Poesia del povero poeta sentimentale”, scritta a mano e consumata cogli occhi. E nella tasca bianca, dal bordo liso e sporco, quei fogli lo accompagnavano all'appuntamento.
Una lettera semplice e formale qualche giorno prima gli aveva comunicato l’invito a presentarsi presso il notaio Zampieri per ricevere comunicazione circa un testamento che lo vedeva nominato fra gli eredi. L’invito era a nome di “Ludovica Ardamanti Chiada”. Non era riuscito a ricostruire nulla che potesse legarlo a questa persona ed aveva deciso comunque di andare. Anzi con Sergio ne avevano riso. Sergio così ammalato e così desideroso di amare. Vent'anni e poco più. 
Ora, la mano sulla maniglia, lo restituiva alla realtà. Eppure si stava domandando quale fosse. Quale verità lo chiamasse e verso quale direzione. La possibilità di ricevere del denaro o una qualche donazione, una casa forse. Tutto ciò gli appariva sensato nell'ottica di una fuga dal presente; la possibilità di viaggiare, finalmente verso Parigi, magari. Oppure abitare una casa propria, farne ritrovo di artisti, cercare di rintracciare tutti coloro che nel brevissimo tempo di vita di Sergio lo avevano letto ed inaugurare un salotto letterario, in sua memoria.
L’appuntamento era in piazza San Calisto, Gabriel camminava respirando poco, quasi in apnea. Indeciso passò in via dei Sediari, dove proprio quel lunedì era corso e dove aveva trovato Sergio oramai in agonia, senza respiro e senza colore di vita nel volto. Ora essere in quella via gli faceva male e, mano nella tasca, quel preziosissimo foglio rendeva assoluta la vicinanza e assoluta l’inutilità sempre più forte del suo andare. Corso Vittorio, Piazza Farnese e finalmente Ponte Sisto.
Gabriel sentiva il suono delle campane della chiesa oltre il Tevere e sentiva avvicinarsi il suono tondo e morbido di una carrozza coi suoi cavalli. Improvvisamente un altro suono su tutti lo attirò: il fiume. L’acqua sapiente e informe gli scorreva poco lontano. Un fiume blu.
Si stava ripetendo “Ludovica Ardamanti Chiada”, stava facendo uno dei giochi poetici che preferiva: prendevano delle parole di suono e significato semplice, quasi consunto, come fossero parole composte di olio e farina, parole di pane le chiamavano. Le prendevano e le ripetevano così tante volte e con così tanti toni che poi perdevano significato, completamente, e divenivano solo lettere d’alfabeto stondate. Così Ludovica, Ludovica, Ludovica, un nome, una persona, sconosciuta, faceva quasi ridere. E anche il fiume sembrava stesse facendo lo stesso gioco e lo faceva rallentando quasi. Cedendo il passo ad un minuscolo muoversi piuttosto che al consueto incedere.
Gabriel capì che la carrozza era andata. Che le parole si stavano addossando sulla diga del suo dolore. Lo comprese velocemente e poggiò rapido il palmo della mano sul parapetto del ponte. Lo scavalcò, balzando via.
“Sergiooo!!!” questo si sentì gridare, una parola di pane che però aveva sapore di niente. Andando verso l’acqua. Andando giù.
Rebecca
Uno dei 100 esemplari della tiratura speciale del libro "Liriche", questo è il n. 24.edizione postuma a cura degli amici, Napoli, Riccardo Ricciardi Editore, 1909

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