giovedì 22 luglio 2021

10 anni da/di Utøya

Per tre ore e otto minuti sull'isola spari e terrore. Non il terrore che possiamo immaginare, ma qualcosa di altro, fatto di fiato, fuga, pianto e interruzione totale della normalità.
Il ventidue luglio del duemilaundici, Anders Behring Breivik fece esplodere un'autobomba nella città di Oslo, i morti furono otto e numerosi i feriti, poi si recò sull'Isola di Utøya, sempre in Norvegia. 
Sull'isola estrasse le sue armi e uccise, con pieno agio, 69 ragazzi.
I ragazzi erano lì per il campo estivo dei giovani socialdemocratici.
Si dice che abbia usato delle pallottole a espansione, vietate dal codice di guerra, usate per la caccia ad animali dalla mole imponente.

Nel duemilaquindici è stato fissato, fra gli abeti nel bosco di Utøya, un grande anello d'acciaio su cui sono incisi i nomi di tutte le 77 vittime. L'anello in norvegese si chiama Lysningen. La sua presenza nel bosco, nel silenzio verde dell'isola, vuole ricordare anche tutti coloro che erano presenti durante gli omicidi e tutti coloro che, in quei novanta minuti, hanno perso i figli, i fratelli, gli amici, il futuro.

La commemorazione del duemilaquindici ha visto anche la riapertura del Campus coi suoi seminari. 

I ragazzi uccisi avevano fra i quattordici e i vent'anni. I sopravvissuti sono circa cinquecento e molti di loro hanno una memoria di cicatrici sul corpo, tutti hanno una memoria di incubi nell'anima:

Ylva Schwenke, aveva 15 anni, Breivik l'ha colpita alla spalla sinistra, allo stomaco, alle cosce.
Viljar Hanssen, aveva 18 anni, è stato colpito alla testa, alla spalla e alla mano sinistra, alla coscia, è diventato cieco all'occhio destro e ha subito l'amputazione di tre dita.
Cecilie Herlovsen, aveva 17 anni, ha subito l'amputazione del braccio.
Eirin Kristin Kjaer, aveva 20 anni, i colpi l'hanno raggiunta allo stomaco, alle braccia, alle gambe.
Mohamad Hamed Hadi, aveva 21 anni, è stato in coma per due mesi dopo che Breivik lo ha colpito alla spalla destra, alla gamba sinistra e al petto; gamba e braccio sono stati amputati.

La giustizia ha fatto il suo corso. 
Anders Behring Breivik pensava e tuttora pensa che il Partito Laburista avesse tradito la Norvegia, permettendo ai musulmani divievere nel paese.
Anders Behring Breivik, colto in flagranza di reato, è stato riconosciuto "sano di mente" e condannato al massimo della pena previsto dalla legislazione norvegese: 21 anni.
Anders Behring Breivik è stato ammesso agli studi nella Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Oslo, in Norvegia c'è la garanzia della pena, ma anche la piena valutazione dei diritti civili.
Anders Behring Breivik ha intentato causa contro il suo Paese per "trattamento disumano", poiché è in isolamento totale da circa cinque anni.
Il 1° marzo 2017 la Corte d'Appello norvegese di Borgarting ha stabilito che non c'è stata violazione dei diritti umani. Quella della Corte d'Appello norvegese è stata la decisione di una giustizia matura, in un percorso in cui lo Stato di Norvegia ha accettato con estremo coraggio di poter essere giudicato colpevole di tortura.
Coraggio e coerenza etica, binomio rarissimo nella storia dell'uomo.

Ma questa è la storia di Anders Behring Breivik e non mi interessa. È giusto che interessi la giustizia. Un uomo che è entrato ogni volta nell'aula del Tribunale con il saluto nazista e la sua faccia ariana (il suo naso è frutto di un intervento di chirurgia per essere più ariano fra gli ariani). 

Per tutti quei ragazzi, per tutte quelle persone coinvolte nel suo lucidissimo piano, l'oscenità di trovarsi di fronte a quella faccia. Tanti dei sopravvissuti hanno raccontato di essersi trovati occhi negli occhi con lui, ma questo non è valso a nulla. A nulla cercare un contatto di umanità. In novanta minuti, nulla lo ha dissuaso da ciò che stava compiendo.

Ciò che fa molto male è che Anders Behring Breivik gode tuttora del risultato delle sue azioni, poiché la sua opera è stata compiuta e la punizione ne è solo un frutto.

Le immagini del fotografo norvegese Andrea Gjestvang sono testimonianza sensoriale ed emotiva di ciò che i ragazzi che erano ad Utøya conservano intatto e visibile sul corpo. Il resto rimane invisibile, forse.

Hanne Hesto Ness, ha subito circa quindici interventi chirurgici.
È stata in sedia a rotelle e, a tutt'oggi, le sue gambe faticano e i dolori raggiungono picchi importanti, ha perso il mignolo.
"One Week Last Summer" è il tatuaggio che ha sul braccio.

La giustizia deve garantire il riconoscimento del reato, deve commisurare la pena, deve garantire la durata della condanna. Solo se fino in fondo manterrà questo equilibrio sarà vera legge.
Per la mostruosità che Breivik ha commesso la pena è lì, ferma su di lui; nessuno sconto è previsto.
Nessun figlio, nessun genitore, nessuna sorella, nessuno riavrà al suo fianco le persone che Breivik ha ucciso guardandoli negli occhi.

Rebecca

Cecilie Herlovsen, aveva 17 anni.

foto di Andrea Gjestvang


Viljar Hansen, aveva 18 anni.
                                                                                        foto di Andrea Gjestvang 




«Breivik era proprio sopra di me e sparava alla gente. Ho iniziato a piangere, però poi ho deciso che le lacrime potevano aspettare fino a quando sarei stato salvato. Volevo sopravvivere e pensavo a mia mamma»
Marius Hoft si è salvato in questo modo, rimanendo appiattito alla roccia, il suo amico Andreas Dalby Grønnesby, è invece scivolato giù.


Un grande anello in acciaio su cui sono incisi i nomi delle 77 vittime




Eirin Kristin Kjaer, aveva 20 anni.         
                                                                             foto di Andrea Gjestvang




Ylva Schwenke, aveva 15 anni.
                                                                                          foto di Andrea Gjestvang