giovedì 31 marzo 2016

Delle Casalinghe Alcoliche. O di Santa Pupa. Rebecca

strano il sesso alcolico
bellissimo nell'atto
ma senza memoria
un po' come l'infanzia.
sarà un caso che la più bella santa
- una santa inesistente -
li accoglie entrambi in grembo
i bambini e gli ubriachi.

chissà se la santa che non c'è 
conosce le ubriache.
chissà se conosce il confine segreto del vizio.

non sono le più belle.
quelle sono al bar 
a scoppiare di sorrisi
a scoppiare di trucco e tacchi.
le ubriache che santa pupa non conosce
se ne stanno poggiate 
vicino al frigorifero
col bicchiere opaco di calcare
con la cena avviata
con la lavastoviglie a metà pulita
a metà sporca.

santa pupa si guarda attorno
e non riconoscere l'andare claudicante
sigarette e acido di vino.

un cucchiaio che gira lo spezzatino
una mano sceglie le posate
un altro sorso
ancora.
due minuti sono così lunghi.
evaporano
nel bollire delle uve fermentate.

santa pupa lo capirà.
ai bambini che ciondolano sui passi
agli ubriachi che un passo sì
un passo no
aggiungeranno, domani,
queste donne.
che con un sorso arrivano a fine giornata.

Rebecca di Santo







 
The Day After, Edward Munch

martedì 29 marzo 2016

Siamo già estinti.

Siamo già estinti.
Siamo come le concrezioni calcaree sul carapace delle tartarguhe.
Formazioni sedimentarie che la tartaruga neanche sente.
Queste sono visioni già viste.
Ma noi non siamo il cancro.
Io tendo drammaticamente a toglierci poteri che non ci competono.
Noi siamo l'avanzo immobile.
Noi siamo un terreno sterile.
L'infertile luogo di ripetizione del tedio.
Mentre le manifestazioni più attive generano morte
c'è chi continua ad ammutolire l'unica parte viva della nostra presenza:
l'infanzia e l'adolescenza.
L'incolumità è un'invenzione patetica.
Ci sono Bambini che vivono più in prima linea di quanto faccia un abitante europeo esposto al rischio dello Stato Islamico.
Ci sono madri che senza amniocentesi generano figli e li nutrono.
Ci sono palloni di stoffa, spago e buste che volano bassi per forza di gravità.
Ci sono incolumità che nessuno può garantire.
Insaccati di nitrati e solfiti.
Piante carnivore per vegani purissimi.
Silenzi che non comprendono la Preghiera
e Preghiere che non comprendono la Pietà.
Credo in un solo Dio
che ha radici

e foglie verdi
che ha un'Anima sconosciuta
lavoro sui palloni d'Africa di Jessica Hilltout
e un segnalibro alla voce "ricorda".
Rebecca


questo accade il 29 marzo 2016

foto di Jessica Hilltout, pallone "africano".




sabato 26 marzo 2016

“Separazione totale” di Rebecca di Santo


Passavano, io in piedi alla cassa della macelleria in piazza Giudia; loro per strada, oltre il vetro.
Non sono mai entrati.
Raramente un refolo di vento, che si infilava nella porta, mi portava strappi di parole "fares...", "...ssibile".
Era lui a parlare e gesticolare. Sempre agitato.
Circa ottant'anni. Lei (stessa età) aveva sempre un fazzoletto da uomo, bianco e di cotone, per le mani. Ci si tamponava il sudore che la sopportazione doveva produrle.
Oramai una sessantina di anni fa un giorno lei, da sola, entrò in negozio con un sacco di juta.
Venne da me.
Da vicino era ancora più piccina e spaurita. Posò il borsone.
Mi raggiunse subito l'odore del macello.
Un misto di ferro e ruggine che sempre mi assale la gola.
La vecchina, senza tracce di sudore stavolta, mi disse:
"Se glielo lascio e passo più tardi potete macinarlo?"
Nel sacco l'occhio spalancato del vecchio mi guardava dal misto di carne e carta di giornale.
Scoprimmo poi una selezione di testa, lingua e interiora che la signora aveva ben preparato per mangiare nei suoi ultimi e felici giorni di vita.


di Rebecca di Santo




"Signora, io ti toccherò" di E.E.Cummings


Signora, io ti toccherò con la mia mente.
Ti toccherò e toccherò e toccherò
finchè tu non mi
farai di colpo un sorriso, timidamente osceno

(signora io ti
toccherò con la mia mente.)

Toccherò
e, tutto qui,
lievemente e tutta te stessa sarai
con infinito agio
la poesia che io non so scrivere.
di Edward Estlin Cummings

di Benjamin-Goss

"Le sedute" di Rebecca di Santo


Seduta sulla comoda poltroncina rossa, Clelia

 improvvisamente mette a fuoco la persona che ha     

davanti. In posizione leggermente più alta, c'è Zara.

Clelia non riesce a parlare. Zara sembra assente, di 

sicuro distaccata, quel tanto da lasciare Clelia in 

balìa di mille domande. Paradossale la frustrazione 

dell'una e la totale sensazione di serenità dell'altra.

 Zara prima dell'appuntamento era dal 

parrucchiere: l'ennesima tinta bionda e il taglio di 

sempre, che ogni volta sente di dover fingere (a sé

 stessa) nuovo. Clelia prima dell'appuntamento era

 al parco sotto casa. Seduta vicino al laghetto ad

 osservare le grosse carpe boccheggiare. Il libro fra 

le mani, il segnalibro fermo da qualche mese a 

pagine 63. Nella stessa stanza i loro profumi

 stridono. Clelia veste sintetico, sudore aspro. Un

 grosso maglione rosa su una gonna jeans, stivali

 beige. Zara, nel suo abito color panna, è discreta e 

femminile. Chanel chance a sottolinearne 

l’eleganza. 

Ora le due donne si fissano. Nessun duello e nessuna

 comprensione. Zara guarda vistosamente l’orologio 

e cambia posizione sulla sua sedia. Clelia fa un colpo

 di tosse per rimettere in moto la salivazione. 

Sono cinquanta minuti che non parla.


Nessuna è di aiuto all’altra eppure Zara mentre si 

alza prende dalle mani di Clelia 80 euro.

di Rebecca di Santo


di Robert McGinnis


"Alla madre" di Bertolt Brecht



Quando non ci fu più, la misero


nella terra.


Sopra di lei crescono i fiori,


celiano le farfalle.


Lei era leggera, premeva


la terra appena.


Quanto dolore ci volle per farla


così leggera.


                                                                 di Bertolt Brecht



Donna con il parasole, di Claude Monet, 1886



giovedì 24 marzo 2016

"Il terrorista. Lui guarda" di Wislawa Szymborska




La bomba esploderà nel bar alle tredici e venti.
Adesso sono appena le tredici e sedici.
Alcuni faranno in tempo a entrare,
alcuni a uscire.

Il terrorista ha già attraversato la strada.
Questa distanza lo protegge da ogni male,
e poi la vista è come al cinema:

Una donna con il giaccone giallo, lei entra.
Un uomo con gli occhiali scuri, lui esce.
Ragazzi in jeans, loro parlano.
Le tredici e diciassette e quattro secondi.
Quello più basso è fortunato e sale sulla vespa,
quello più alto invece entra.

Le tredici e diciassette e quaranta secondi.
La ragazza, lei cammina con un nastro verde nei capelli.
Ma quell'autobus d'improvviso la nasconde.
Le tredici e diciotto.
La ragazza non c'è più.
Se è stata così stupida da entrare, oppure no,
si vedrà quando li porteranno fuori.

Le tredici e diciannove.
Più nessuno che entri, pare.
Invece esce un grassone calvo.
Sembra che si frughi nelle tasche e 
alle tredici e venti meno dieci secondi
rientra a cercare quei suoi miseri guanti.

Sono le tredici e venti.
Il tempo, come scorre lentamente.
Deve essere ora.
No, non ancora.
Sì, ora.
La bomba, lei esplode.

di Wislawa Szymborska


mercoledì 23 marzo 2016

"Sangue del ghetto" di Rebecca di Santo

Abitavano al ghetto. Ma non erano ebrei. Bettina non sapeva cosa volesse dire. Vedeva solo che molti amici andavano via. Chi riusciva scappava, gli altri li venivano a prendere, con la forza. Suo fratello Franco era il suo mito. Mentre Franco leggeva ad alta voce per tutti, dopo cena, arrivò il suono osceno delle sirene d'allarme per le bombe. Bisognava correre ai ricoveri. Bettina un po' rideva, un po' era triste. Quella notte mise le mani fra le gambe: c'era sangue.
Era il menarca.
Guardò con vergogna tutti quegli sguardi di bambini spauriti attorno. Gli stessi occhi che l'indomani la cercavano mentre un camion, troppo grande, separava i figli dalle madri. Gli uomini dal futuro. Il senso dalla follia.
Bettina inciampò nella palla verde di Roberto. La palla era ferma, mentre Roberto veniva spinto sul camion e si trovava incastrato fra un telone scuro e il corpo di un grosso militare, un nazista serio e muto. 
Tutti gli altri attorno a lui, adulti e bambini, sembravano impazzire in urla scomposte da sotto da dentro da tutti i luoghi.
Roberto aveva i grandi occhi fissi sulla palla verde. La palla venne spostata da un movimento d'aria quando i camion partirono.
Nessuna bomba saltò, scoppiò il silenzio improvviso nel ghetto.
Bettina non ebbe più alcuna mestruazione.
                                                                               Rebecca di Santo
                                                                                                                                  
Il 16 ottobre 1943 i nazisti portarono via dal ghetto di Roma 1259 persone: 689 donne, 363 uomini, 207 bambini.
Queste le parole dell'ufficiale nazista Herbert Kappler:
"Oggi è stata iniziata e conclusa l'azione antigiudaica seguendo un piano preparato in ufficio [...]. Nel corso dell'azione che durò dalle ore 5,30 fino alle 14,00 vennero arrestati in abitazioni giudee 1259 individui e accompagnati nel centro di raccolta della scuola militare. Il trasporto è fissato per lunedì 18 ottobre alle ore 9,00."
Il trasporto del 18 ottobre aveva come destinazione Auschwitz.
Di tutti i deportati di quella mattina tornarono a casa solamente 16 persone.
Nessuno dei bambini.



Adolf Hitler


















il rastrellamento nazista del 16 ottobre 1943 nel ghetto di Roma

il rastrellamento nazista del 16 ottobre 1943 nel ghetto di Roma
Uomini dell’Unità Seeling, una delle compagnie della polizia d’ordine che hanno effettuato la retata del 16 ottobre.
Fondazione Museo della Shoah

Biglietto consegnato dai nazisti durante la deportazione del 16 ottobre.
Archivio privato Renato Di Veroli



lunedì 21 marzo 2016

“Drentro ce l’hai er sangue?” di Rebecca di Santo

Allora, Cappuccetto è quasi vecchia, oramai.
Ma mica vecchia pe' l'età, è vecchia de core. Vecchia d'animo e de intenzioni. Dq uer giorno che ha visto mori' er lupo nun è più riuscita a gioca'. Pe' quanto poteva ave' avuto paura de cammina' pe' 'l bosco, in realtà, s'era pure divertita.
La campagna romana è 'na campagna unica. È 'na campagna fatta de catapecchie e de lamiere che te ritrovi pe' tera quanno meno te l'aspetti.
'Nfatti, quer giorno 'nfame, è stata proprio 'na lamiera, che stava anniscosta dietro a 'n mucchietto de fiori de calendula, 'nsomma è stata propria 'na lamiera a crea' er dramma. 
Cappuccetto... che poi aprirei 'na parentesi: 'sta regazzina mica c'aveva addosso 'sta mantellina rossa co' 'sto cappuccio che tutti s'aricordeno. 'A verità è davero più semplice, 'a regazzina c'aveva li capelli rosci. Si, 'na via de mezzo fra l'arancione - ma proprio quello der frutto... come lo chiama er poeta? Ah sì, er frutto portogallo, quello che tutti l'artri chiameno "arancio" - e er colore de le fojie de l'acero durante l'autunno. 'Nsomma de rosso c'erano li capelli mica er cappello.
Quer giorno Cappuccetto camminava tranquilla pe' la campagna. Solo 'a madre se credeva che fosse 'a prima vorta e stava lì tutta preoccupata drentro casa.
E mentre stenneva la pasta pe' fa' le fettuccine, pensava "nun vedo l'ora che ritorna quella fija mia... Bojo che è già sera e che stamo tutti attorno ar tavolo a magna', così me posso senti' tranquilla e smettella d'avecce 'sta battarella drentro ar petto..."
Cappuccetto in mezzo a li prati c'era annata già quarche artra vorta. C'era annata co' Nunzietto, er regazzino che j'abbitava a du' passi. Nunzietto e lei staveno sempre assieme. Giocaveno, facevano li compiti, annaveno pe' l'orto a prenne i pommidori. E, quarche vorta, s'avventuraveno in mezzo ar gnente. Tanto pe' vede' che c'era de così pericoloso. 'Nsomma cappuccetto oramai ce lo sapeva che nun c'era gnente da teme' quinni era annata tranquilla da' la nonna.
Mentre che camminava colla borsa de stoffa piena de cibarie, canticchiava e se guardava 'ntorno. 'Nsomma credo che 'più ce lo sapete pure voi: è 'nciampata su quella lamiera e j'è uscito er sangue. Quello è arivato alle froge der lupo e alla bestia j'è venuta puro fame.
Arivata a casa de' la nonna l'ha trovato che se leccava i baffi e c'aveva ancora er grugno sporco de sangue.
Cappuccetto mica s'è spaurata, ha subbito cercato co' l'occhi la nonna. Ha visto er letto stropicciato e la retina pe' tene' li capelli mezza strappata e tutta sconciata lì pe' tera. Ahò, ha capito tutto in un lampoe s'è messa a urla'. Più urlava e più se spaurava. Er lupo la guardava de sbieco. La panza era puro piena ma che doveva fa' co' quer bocconcino? Mica che lo poteva lascia' strilla' e magari corre' via senza daje 'na bella addentata!
Così s'era sollevato. A quer punto Cappuccetto s'era messa a core' e urlava ancora. Urlava più o meno così: "Nonna! Nonnaaaaaaaaaaa! Nonna!!!" E intanto riusciva a trova' la porta. Cor lupo che je puntava er culo. Co' ancora er sangue scuro de' la nonna che stava accanto a quer pelo puzzolente. Sì perché 'a puzza se sentiva. Era puzza de bestia. De bestia vera.
Er cacciatore nun stava mica a passa' pe' caso. Passava perché la nonna era 'n punto fisso de ritrovo. In quer tratto de campagna abusiva la nonna offriva caffè, vino bianco sempre fresco e teneve puro quarche bionda drentro ar cassetto della credenza. C'aveva 'na credenza ch'era 'na meravija. Color crema.
Comunque er cacciatore in questione se chiamava Spartaco. C'avrà avuto cinquant'anni, passava là armeno 'n paro de vorte ar mese. Passava pe' anna' a spara' a l'ucelletti. Che poi manco j'emportava troppo de portalli a casa, sarà che oramai da 'n paio d'anni j'era morta Ninetta e la cucina era addiventata er luogo der lutto. Più che drentro ar letto, Ninetta je mancava drentro a 'la cucina. je mancaveno l'odori, er basilico e l'ajo aveveno smesso d'avecce senso. Er coniglio, 'na vorta spelato, je faceva veni' solo che da piagne'. Era smagrito come 'n micio de strada. Secco e solitario girava cor fucile. Sembrava mezzo matto. Però appena senti' urla' se mise sull'attenti, sì 'nsomma tese l'orecchio e sollevò er fucile. Vide la bambina sorti' dalla porta e dietro de lei ce stava la belva: quer lupaccio vecchio e appesantito. Je doveva spara', nun c'era scerta ma certo che piacere nun je faceva.
Appea che se rigirò doppo ave' sentito lo sparo vide 'na cosa strana. Sì Cappuccetto vide che c'era la nonna a 'la finestr der bagno co' 'n mano un paro de mutanne e che le stava a stenne'. La nonna tirava su li mutandoni, er lupo 'ntanto stirava le zampe. De netto se ritrovava a 'l'artro monno. Erra annato a mori' ammazzato. Ner giro de manco 'n seconno tutti e tre se fecero addosso a 'la bestia c'er amorta.
- Ma ch'avete fatto??? - je chiedeva la nonna. Ma nun era 'na domanna, era 'n lamento. Che poi, che doveva da risponne er poro Spartaco? Era chiaro che s'era messo a spara'. Era chiaro perché quella bestiaccia era stesa lunga e calda su quella tera. Er lupo coreva appresso a quella regazzina, nun c'era mica scerta, toccava da spara'. 
La nonna doppo dovette spiega' a tutti che quer vecchio lupo, ogni tanto, je piombava in casa e lei je dava quarche cosa da magna'.
Certe vorte je dava pure er latte inacidito co' 'n po' de pane secco. Artre vorte, come quer maledeto giorno, j'aveva dato pure 'n po' de carne cruda che, era ovvio, je piaceva così tanto.
Ecco, tutto qua.

E che nun ce lo so che mai nessuno ricconta 'sta parte della storia?
Tutti finiscono ner posto giusto drentro alle storie che te piazzeno nei libri. Ma mica è vero così.
Quanno se tratta de 'la vita vera ne succedono de tutti li colori.
A questa regazzina j'è annata benissimo, lei lo sa bene. Però j'è annata puro malissimo, ha visto quanto po' esse' inutile mori'. Ha visto che mica le cose so' sempre come parono.
È pe' questo che mo nun riesce più a gioca'. Er gioco suo preferito, quanno sta drentro a 'la cameretta sua è quello de fa' finta d'esse' quarcosa che nun è. Come te lo devi di'? Je piace diventa' 'na primitiva - come stanno a studia' a scola -, oppure je piace pensa' d'esse' 'na tigre che a quattro zampe se magna er monno. Quarche artra vortra s'enventa d'esse' 'na donna fatta e co' li piedi passa su li corpi innamorati de tutti l'ommini che je capitano sotto.
Ecco, 'sto gioco nun je riesce più de fallo, 'sto gioco mo je fa' 'mpressione.
Riesce solo a fa' come se fosse er lupo. Se mette lì, ferma ferma, e ce passa puro le ore. Che si tu la vedessi te chiederesti se drentro c'ha ancora er sangue che je scorre.
Se drentro a quella creatura c'è ancora 'n core che batte e saltella.
di Rebecca di Santo

di Darya Kondratyeva

di Tamara Dean

di Ryan McGinley