mercoledì 16 marzo 2016

"Il Corpo del Martire" di Rebecca di Santo

Non mi muovo. Sono ore che non mi muovo. Non ne ho voglia. Non ci credo più. Sento solo il calore lontano. Mi ricordo il caminetto, il caldo insopportabile e poi, appena voltato, subito freddo. Entrambe le sensazioni assolute. Mi sono abituato a tutto, credo. Mi sono abituato a tutto. Anche a questo dolore alla bocca dello stomaco. Così forte che, ogni tanto, mi rannicchio e cerco di coccolarlo. Mi sono abituato a stare fermo. Non avverto più il sapore angusto di questa che è la mia cuccia.
Ricordo invece, a tratti, quella che era la mia dimora, ne ricordo la porta. Lo scatto preciso della serratura al girare della chiave nella toppa. Ma non so quando era, non so più cosa ci fosse oltre la soglia. Poco fa sognavo, mi affacciavo oltre l’uscio. Salutavo con una voce, la mia, che mi ha riportato a un'altra vita. Il tuo nome. So chi sei stata: mia moglie. La madre di chi mi manca nelle ossa. So che i miei figli vivono anche senza di me. Ma senza di te non posso. Eleonora trovami! Portami via le mani. Scava tra gli steccati di modo che io possa riconoscere il refrigerio dell'aria.
Il braccio destro mi si intorpidisce sempre. Avverto il formicolio solo quando mi decido a muovermi, a spostarmi su un altro fianco, a sedermi. E le gambe, le sento pesanti e al tempo stesso non mi sembrano più le mie. Mai stato così magro. Mai stato così inutile e dimesso.
Una volta, sulla spiaggia di Punta Palascìa ho sentito qualcosa di simile. Pesante nei miei trent'anni di uomo, con addosso la forza e l’obbligo del sentirci tutti liberi dalla guerra. Era Capodanno, nell'alba ventosa del 1946. Lo sai, ero appena divenuto anche marito, tuo marito. Su quella Punta l'illusione dell'est, la vicinanza al nuovo anno nella luce più accesa d'Italia. Mentre toccavo quel sole mi sentivo venir meno. Avrei voluto smarrirmi nella luce, fra quelle onde gelate e l'aria che vi si disintegrava dentro. Ero magro già allora, ma non così. Ero magro ma vivo, non ero ciò che ora sono.
Stamattina mi hanno svegliato così presto. Per riportarmi alla vita. Non la ricordavo così, Eleonora. Ricordavo più colori, voci più nette e ricordavo me in piedi, non così ritorto. Poi questa coperta che separa il mio sguardo dal poter vedere.
Ma forse non voglio davvero niente, oltre questo. Ho trovato l'umanità in una cuccia malmessa e ho sentito allontanarsi i fratelli di sempre, gli amici, la fede persino. E so perché sono dimagrito. Sono dimagrito perché sono voluto andargli incontro. Ritirarmi farmi ossa e corpo del martirio. È come se mi potessi vedere, nonostante io non abbia uno specchio e non abbia più gli occhi. Mi vedo come fossi un cucciolo di foca massacrato. Sangue vivido. Ma il paesaggio su cui si staglia il mio supplizio non è di neve densa e bianca. Io mi staglio su un nugolo di mosche, in mezzo ad una nebbia di polvere di pietre.
Eleonora, non sento più niente. Eppure avverto il movimento leggero della macchina quando qualcuno le passa vicino, quando un'altra vettura scorre via. Devono essere sampietrini, qui vicino alle mie orecchie.
Mi hanno riportato alla vita con una pistola e poi, credo, una mitragliatrice. Il mio corpo è stato irriconoscente. Sotto la selva dei colpi si è fracassato. Mi è scoppiato il cuore, Eleonora. E questa ora è la mia casa. Un luogo dove inizio a sentire tutto il freddo che c'è nell'incontro fra onda e cielo.
Spero qualcuno venga presto. io qui provo vergogna e non posso più gridare.
Iniziano a tacere i pensieri, così come mi tace il cuore. Il formicolìo si è fatto brivido.
Sento rarefarsi la volontà che, in questi 55 giorni, mi è costato fatica mantenere.
Dieci colpi, undici, non lo so. Non so più contare.
Meglio che vada ora.
Ma dico ancora una volta, ciò che in cuor mio andavo ripetendo già da via Fani: venitemi a prendere.
Eppure già vedo Punta Falasca con la sua alba più estema.
Sono libero Eleonora, ma quanta tristezza di uomo sto portando via con me.
di Rebecca di Santo


il 16 marzo del 1978 veniva rapito Aldo Moro, in via Fani, Roma.
nell'agguato vennero uccisi 5 uomini della scorta:
Raffaele Iozzino, Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera e Francesco Zizzi.




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