Passavano, io in piedi alla
cassa della macelleria in piazza Giudia; loro per strada, oltre
il vetro.
Non sono mai entrati.
Raramente un refolo di vento,
che si infilava nella porta, mi portava strappi di parole
"fares...", "...ssibile".
Era lui a parlare e
gesticolare. Sempre agitato.
Circa ottant'anni. Lei (stessa
età) aveva sempre un fazzoletto da uomo, bianco e di cotone,
per le mani. Ci si tamponava il sudore che la sopportazione
doveva produrle.
Oramai una sessantina di anni fa
un giorno lei, da sola, entrò in negozio con un sacco di juta.
Venne da me.
Da vicino era ancora più
piccina e spaurita. Posò il borsone.
Mi raggiunse subito l'odore del
macello.
Un misto di ferro e ruggine che
sempre mi assale la gola.
La vecchina, senza tracce di
sudore stavolta, mi disse:
"Se glielo lascio e passo
più tardi potete macinarlo?"
Nel sacco l'occhio spalancato
del vecchio mi guardava dal misto di carne e carta di
giornale.
Scoprimmo poi una selezione di testa, lingua e interiora
che la signora aveva ben preparato per mangiare nei suoi
ultimi e felici giorni di vita.
di Rebecca di Santo
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