martedì 27 febbraio 2018

La Siria per me. Maram Al Masri da "Arriva nuda la libertà"


La Siria per me

è una ferita sanguinante

è mia madre sul letto di morte

è la mia infanzia sgozzata

è incubo e speranza

è inquietudine e presa di coscienza.

La Siria per me

è un’orfana abbandonata.

È una donna violentata tutte le notti da un vecchio mostro,

violata,

imprigionata,

costretta a sposarsi.

La Siria per me

è l’umanità afflitta

è una bella donna che canta l'inno della Libertà

ma le tagliano la gola.

È l’arcobaleno del popolo

che si staglierà dopo i fulmini

e le tempeste.

Maram Al Masri,

estratto dal libro Arriva nuda la libertà

















Maram Al Masri è nata il 2 Agosto del 1962 a Lattakia, Siria.
Sarà moglie, sarà esule, sarà divorziata e sarà anche lontana da suo figlio che il padre ha portato di nuovo in Siria dopo la separazione.


Bibliografia in lingua italiana:
Ciliegia rossa su piastrelle bianche, ed. Liberodiscrivere, 2005
Ti minaccio con una colomba bianca, ed. Liberodiscrivere, 2008
Ti guardo, Multimedia Edizioni / Casa della poesia, 2009
Anime scalze, Multimedia Edizioni / Casa della poesia, 2011
Arriva nuda la libertà , Multimedia Edizioni, 2014
Il tempo dell'amore, ed. Culturaglobale, 2015
Lontananza, Medinova, 2016

domenica 18 febbraio 2018

'La notte prima delle foreste’ di Bernard-Marie Koltès


Bisognerebbe stare dall’altra parte senza nessuno intorno, amico mio quando mi viene di dirti quello che ti devo dire, stare bene tipo sdraiati sull’erba, una cosa così che uno non si deve più muovere con l’ombra degli alberi.
Allora ti direi: ‘qua ci sto bene, qua è casa mia, mi sdraio e ti saluto’.
Ma qua, amico mio, è impossibile, mai visto un posto dove ti lasciano in pace e ti salutano.
Ti dobbiamo mandare via, ti dicono, vai là, tu vai là vai laggiù, leva il culo da là e tu ti fai la valigia, il lavoro sta da un’altra parte, sempre da un’altra parte che te lo devi andare a cercare, non c’è il tempo per sdraiarsi e per lasciarsi andare, non c’è il tempo per spiegarsi e dirsi ‘ti saluto’.
A calci in culo ti manderebbero via, il lavoro sta là, sempre più lontano, fino in Nicaragua.
Se vuoi lavorare, ti devi spostare, mai che puoi dire ‘questa è casa mia e ti saluto’,
tanto che io quando lascio un posto ho sempre l’impressione che quello sarà casa mia, sempre di più di quello in cui vado a stare.
Quando ti prendono a calci in culo di nuovo, tu te ne vai di nuovo là dove te ne vai sei sempre più straniero, sempre meno a casa tua.
E quando ti prendono a calci in culo, tu te ne vai di nuovo quando ti giri a guardarti indietro, amico, è sempre il deserto.
Fermiamoci una buona volta e diciamo ‘Andate a fanculo’ io non mi sposto più, voi mi dovete stare a sentire se ci sdraiamo una buona volta sull’erba e ci prendiamo tutto il tempo che tu racconti la tua storia, quelli venuti dal Nicaragua
che ci diciamo che siamo tutti, più o meno stranieri ma che adesso basta, stiamo a sentire, tranquilli, tutto quello che ci dobbiamo dire allora sì che capisci che a loro non gliene frega un cazzo di noi.
Io mi sono fermato, ho ascoltato, mi sono detto: ‘Io non lavoro più’ finché non ve ne frega un cazzo di me.
A che serve che quello del Nicaragua viene fino qua e che io vado a finire laggiù se da tutte le parti la stessa storia.
Quando ho lavorato ancora, ho parlato a tutti quelli presi a calci in culo che sbarcano qua per trovare lavoro e loro mi sono stati a sentire.
Io sono stato a sentire quelli del Nicaragua che mi hanno spiegato com’è da loro.
Laggiù c’è un vecchio generale, che sta tutto il giorno e tutta la notte al bordo di una foresta gli portano da mangiare perché non si deve spostare che spara su tutto quello che si muove gli portano le munizioni quando non ce ne ha più.
Mi parlavano di un generale coi suoi soldati che circondano la foresta tutto quello che si muove diventa un bersaglio tutto quello che compare al bordo della foresta tutto quello che notano che non c’ha lo stesso colore degli alberi e che non si muove allo stesso modo.
Io sono stato a sentire tutto questo e mi sono detto che da tutte le parti è la stessa cosa più mi faccio prendere a calci in culo e più sarò straniero loro finiscono qua e io finirò laggiù, laggiù dove tutto quello che si muove sta nascosto nelle montagne.
Io ho ascoltato tutto questo e mi sono detto: “Io non mi muovo più, se non c’è lavoro non lavoro se il lavoro mi deve far diventare matto e mi devono prendere a calci in culo, io non lavoro più.
Io voglio sdraiarmi, una buona volta, voglio spiegarmi, voglio l’erba, l’ombra degli alberi, voglio urlare, voglio poter urlare, anche se poi mi sparano addosso.
Tanto è quello che fanno. Se non sei d’accordo, se apri la bocca, ti devi nascondere in fondo alla foresta.
Ma allora meglio così, almeno ti avrò detto quello che ti devo dire.
‘La notte prima delle foreste’
atto unico di Bernard-Marie Koltès, 1977

Testo in francese: La nuit juste avant les forêts




























Bernard-Marie Koltes
Bernard-Marie Koltès,
Metz 9 aprile 1948
Parigi, 15 aprile 1989



venerdì 9 febbraio 2018

"Stiamo tutti bene" Mirkoeilcane di Migranti e di bugie.

Ciao,
mi chiamo Mario e ho 7 anni
7 e mezzo per la precisione
mi piace il sole, l'amicizia
le persone buone, il calcio,
le canzoni allegre
e il profumo buono della pelle di mia madre.
Papà mio è da qualche mese che non torna,
ma guai a parlarne con qualcuno specialmente con la mamma
perché si sente male, grida, piange e non la smette più
e per tre giorni si nasconde e non si fa vedere,
ma oggi è un giorno felice
che qui è arrivato un pallone
e finalmente potrò diventare forte e fare il calciatore
so già palleggiare… con i sassi è diverso,
ma sono avvantaggiato perché corro forte come il vento
e allora volo alla radura insieme agli altri bambini
chi arriva ultimo in porta, sai che rottura di coglioni.
Arrivo primo come sempre e allora sono attaccante.
Scatto, dribblo, tiro in porta e il portiere non può farci niente
poi da più lontano sento
“Mario vieni qua! Prendiamo tutto quel che abbiamo e raggiungiamo papà !"
“Mamma ! Proprio adesso! sto tirando un rigore…",
ma non c’è verso, ce ne andiamo, meglio non polemizzare.

Ma guarda te la iella proprio a me doveva capitare
quattro giorni su 'sta barca e intorno ancora solo mare,
ma ti pare giusto uno va in vacanza per la prima volta
e quelli lì davanti son capaci di sbagliare rotta.





Che poi a chiamarla barca ci vuole un bel coraggio,
stare in tre seduti in mezzo metro di spazio


















e come me gli altri duecento tutti intenti a pregare
e io vorrei soltanto alzarmi e palleggiare,
ma se soltanto sposto anche di un centimetro il piede
questo davanti si sveglia e inizia a dire che ha sete.









Io pure ho sete, fame, sonno e mi fa male la schiena
ma non c’è mica bisogno di fare tutta 'sta scena
e poi c’è questo di fianco che ha chiuso gli occhi e non li apre più
è da tre giorni che dorme che pare non respiri
non ho mai visto nessuno dormire così tanto.
Ho chiesto a mamma e ha detto che era proprio stanco
boh tre giorni fa ne hanno buttati una trentina in mare
mamma dice che volevano nuotare
io li sentivo gridare e non sembravano allegri
ma almeno adesso ho un po di spazio per i piedi
è il sesto giorno e adesso dorme pure mamma
un tipo magro qualche fila più in la grida che vede la madonna
e questa barca adesso puzza di benzina e di morte,
ma mamma ha detto di non farci caso e di esser forte
di fare il bravo bambino e star seduto qua
che mamma adesso si addormenta e raggiunge papà.

Foto di Muhammed Muheisen
Isola di Lesbo 2 ottobre 2015


Però piangeva e si sforzava di sorridere
forse era proprio tanto stanca pure lei.
E c’è un silenzio tutto intorno che mi mette paura
s’è fatta notte, ho freddo e in cielo non c’è neanche la luna
la gente grida, chiede aiuto ma nessuno risponde
mi guardo intorno e neanche a dirlo vedo sempre e solo onde, 
dopo onde, ancora onde,
allora onde evitare di addormentarmi come gli altri e esser buttato in mare
mi unisco al coro della barca e inizio a piangere e gridare
ma non ho forza, chiudo gli occhi e non so neanche nuotare.