lunedì 30 maggio 2016

NON SARÒ COMPLICE e vi grido: VERGOGNA! di Rebecca

Se fosse mia figlia.
Non è una domanda, è un rimbombo nella testa.
Se fosse mia figlia.
Se fosse mia figlia mi trasformerei in gigante
fauci che grondano saliva di rabbia.
Se fosse mia figlia,
non basterebbe il Cielo
non basterebbero le urla di orde di diavoli
nulla coprirebbe il dolore che squarcia il petto.
Se Sara fosse mia figlia
le urlerei perdono.
Perdonami
perdonami 
perdonami
perdonami.
Perdona l'orrore dentro il cui baratro ti hanno squassato la vita.
Io non perdono nulla.
E se quella creatura fosse mia figlia
morirei di dolore.
Rebecca


Sara di Pietrantonio



di Carla Bruttini



Sara di Pietrantonio (e chiedo perdono a lei e a chi l'ha conosciuta e l'ha amata perché mi permetto di parlarne).
Sara di Pietrantonio è stata uccisa poche ore fa, a Roma, vicino casa.
È stata arsa viva dal suo ex.
Ma non l'ha uccisa solo lui.
L'hanno uccisa anche quei passanti che non hanno capito che in strada, terrorizzata, Sara di Pietrantonio cercava aiuto.
Sarebbe bastato accostare, aprire la portiera e portarla via.
Le spiegazioni dopo.
Capire che cosa le era accaduto dopo.
Invece è stata raggiunta dal suo assassino.
Non posso pensarci, da parte della ragazza che sono stata, da parte della madre che sono, da parte della donna che sono, da parte dell'essere umano che sono.
Impensabile dolore.




sabato 28 maggio 2016

La guarigione delle streghe. La terapia panica nel neopaganesimo. di Rebecca di Santo


All'interno del binomio salute-salvezza è fondamentale, per incamminarsi sulla via della guarigione e raggiungere la salvezza, la percezione, individuale o di un gruppo, della condizione di malattia: avvertire un disturbo limitante che convoglia l'attenzione e permette di applicarsi alla terapia possibile.



Prendendo un contesto molto ampio di sollecitazione è possibile considerare il movimento ecologista, pur nelle sue diversità, come movimento per la salute del piane­ta terra, per una convivenza salvifica di tutta la materia vivente che ha la sua dimora in esso. La percezione dello stato di turbamento della terra non è certo nuovissima; tutta­via, essendo il pianeta un soggetto a disposizione della più ampia vastità di partecipanti, il mutamento culturale che accompagna tale scoperta e che seleziona terapie, ad hoc o ad ampio raggio, è frastagliato e le parti non sono fra loro in chiara comunicazione.
È possibile individuare con subitanea evidenza una forte coincidenza fra la preoccupa­zione per lo stato d'insieme delle relazioni nel pianeta, per l'ecologia quindi, e un'inquietu­dine volta a rinnovare questa totalità a un livello quasi-religioso. Necessità dettata anzitut­to dal poter trattare l'ampiezza del soggetto in questione: poter opporre a una pratica scientifica d'intervento mirato, una considerazione che riesca a tenere insieme la totalità delle diversità, la diversa qualità delle singole componenti, potendo però testimoniare una profonda unità spaziale e temporale. Quasi-religioso poiché questa unità è rappre­sentata contemporaneamente nell'immanenza e nella trascendenza del soggetto sacro.
In fin dei conti il binomio salute-salvezza si propone anch'esso come inestricabile da una via panica, di sicuro non l'unica terapia possibile ma al contempo una via molto frequentata.
Una tendenza che si presenta come dichiaratamente impegnata in tale direzione è quella del neo-paganesimo Wicca, o delle Streghe, indirizzo molto attivo in Nordame­rica dopo una nascita nord-europea intorno alla metà del xx secolo.
Un chiarimento preliminare necessario è relativo al nome stesso Wicca, da witch witchcraft, che indica una predominante femminile, dovuta a un riscatto contempora­neamente storico-religioso e di genere sessuale. Le Streghe sentono ancora fresca la profon­da ferita inflitta dall'Inquisizione alla loro conoscenza intima, e sanatrice, dei segreti della Madre Terra; Inquisizione intesa anche come reazione smodata del mondo ma­schile al potere femminile. Da qui l'ulteriore impostazione ecofemminista. Predominante che non diviene però divieto d'accesso alla componente maschile; è anzi proprio un uomo colui che per sue personali vicissitudini, e sicuramente grazie alla lettura dei testi dell'antropologa Margaret Alice Murray, darà impeto al credo e al cerimoniale Wicca.

L'analisi di Margaret Murray, egittologa e folklorista, è basata sull'attestazione della continuità della stregoneria come culto dell'Europa precristiana trasmesso fino alle streghe inquisite, culto in realtà legato alle pratiche di conoscenza e all'uso delle erbe e delle pozioni magiche, ovvero al giusto rapporto fra diversi elementi. Sarà quindi proprio un uomo, Gerald Gardner, a prolungare il senso di tale sintesi e a rintracciare, e in parte inventare, pratiche a lui contemporanee persistenti in Inghil­terra, da potersi definire stregonesche. Gardner, nel 1954, riuscirà a pubblicare il volume Witchcraft Today con l'intento di far risorgere la stregoneria, il Wicca, ren­dendo il massimo della visibilità a un movimento sempre identificato con il buio notturno. Sarà in quel momento possibile trattare liberamente di stregoneria poiché sono passati tre anni dal decadere dell'ultima legge contro le streghe vigente dal 1735. Nel 1951 si passa infatti dal Whitchcraft Act al Fraudolent Mediums Act.
È il caso di dire che oggi le Streghe hanno effettivamente raggiunto la luce del giorno, essendo divenute promotrici di molte attività da svolgersi in pubblico: pro­teste creative contro i disboscamenti, interventi nei forum no-global sia locali che mondiali, riti pubblici per sollecitare partecipazione e interventi o, da ultimo, mani­festare la propria posizione sulla guerra e sui rapporti fra popoli.
Anche l'attributo di neo pagano contiene una molteplicità di indicazioni. Ciò che si impone in tutta evidenza è l'ampiezza degli elementi coinvolti, che stringono insieme l'individuo -contemporaneamente come sfera corporea, condotta e personale forma di aderenza al sacro-, la vita quotidiana, le relazioni sociali, in un tutto contenuto dall'im­portanza dell'ambiente naturale, non necessariamente trasposta in chiave simbolica. Anche se vi è un dibattito acceso sulla considerazione dell'adesione alla Vecchia Religio­ne Universale come adesione a una metafora e non a una realtà letterale; questo, proba­bilmente, per eludere eventuali richieste di riscontro su precisi momenti e modi d' origi­ne del culto Wicca e potersi piuttosto appellare a una generica religione della natura.
Neopagano, politeista, altrimenti indicato come biteista, vista l'insistenza nei ri­ferimenti e nei riti a due sole divinità, femminile e maschile, sembra di più immediato chiarimento l'indicazione di movimento politeista, poiché pur essendo la Dea o Gran­de Dea o Madre Terra sicuramente colei che racchiude infine la molteplicità in unità, è comunque considerata immanente e non distinguibile dalla varietà stessa. Tale politeismo è pervaso di colori panici, colori che tingono ogni singola componente di sfumature che la raccordano al tutto. Ogni luogo è sacro benché vi sia la possibilità di individuare in luoghi o in elementi specifici una particolare forza comunicante della divinità; questa possibilità è aperta a tutti ma una Strega è sicuramente la più indicata per sollecitare tale potere e renderlo condivisibile.
La via della guarigione praticata non è di sicuro nuova, fondamentalmente si basa su una identificazione fra umanità, natura e sacralità. Tale unità comporta un pren­dersi cura del proprio corpo, come della propria casa, come della terra in senso più ampio. Non è una novità, questa, poiché in ambito etnologico gli esempi relativi sono davvero infiniti e sarebbero sufficienti i testi di Mircea Eliade per avere un rapporto importante del legame fra condotta personale -del singolo o del gruppo- e percezione della sacralità in cui questa condotta è contenuta.
La novità, in questa direzione, sta comunque nel considerare il valore intrinseco di ogni elemento naturale: tale valutazione comporta la piena convinzione dell'uguaglianza iocentrica e della codeterminazione reciproca. Una Strega considera tali valori etici come unica rivelazione possibile della vita, da cogliere nella sua continua e prospera manifestazione naturale. Valore intrinseco, uguaglianza biocentrica e codeterminazione reciproca non sono in realtà propri del linguaggio wiccan quanto piuttosto della deep ecology, ma ben traducono una serie di riti e di leggi condivisi dalle Streghe.

Nella Vecchia Religione Universale è fondamentale proprio la dimensione rituale. Augé la definisce, in un contesto pagano appunto, come una «incessante contrattazione con la natura» che genera un'opera di mimetismo globale, poiché ogni oggetto di con­trattazione diviene elemento naturale e tutti i poteri (adottati o subìti) vengono interpretati come potenze naturali. Siamo in presenza di un paradosso nel quale il concreto viene costantemente trattato come simbolico; ciò che ha forma concreta, umana, culturale, diviene naturomorfo. La nascita degli dèi - o dei simboli - progredisce così da un cre­scente riconoscimento del sacro che si manifesta nella materia. Il concreto cambia grada­tamente forma e sostanza e questo concede al neopagano di approdare a una maggiore intimità con gli dèi. La Strega comprende la Dea attraverso il riconoscimento della fusio­ne fra sacro e materia, fra individuo e divino. In questa dimensione di contrattazione e agnizione si riproducono e si riconoscono i segni e il senso del sacro, necessari sia per l'esperienza individuale sia per la .necessità di partecipazione e intervento di gruppo. Pur non essendo il neopaganesimo caratterizzato da un'aspirazione al proselitismo ecume­nizzante o da testi sacri univoci che ne segnano l'origine, vi si trova comunque insita una
naturale necessità di condivisione, è anzi proprio dalla stima della mutua relazione fra elementi che il neopaganesimo trae la sua forma e il suo percorso di perenne evoluzione.
Vi è comunque una produzione di pensiero teorico, seppure ristretta, e nel leggerne ci si imbatte più che altro in professioni di fede molto personali e dichiarate che scivolano velocemente verso l'illustrazione di possibili riti, in quali momenti effettuarli e quali elementi utilizzare ed invocare. Anche rispetto ai riti riferiti c'è una totale disponibilità alla rielaborazione da parte del lettore/adepto, per poter riadattare il tutto in seno alla comunità e all'ambiente nel quale vive. Quindi è sovente garantita la totale liceità ai per­sonali interventi oltre che per sviluppare i contenuti e le forme del rituale, anche per ciò che concerne quella forma di potere così fondamentale nel tentativo di appropriarsi del mondo, ovvero la possibilità individuale di assegnare nomi o immagini al sacro stesso.
I riti Wicca vengono iniziati chiamando ad adunanza non solo i partecipanti umani ma anche i quattro elementi, i venti o i punti cardinali, e soprattutto animali, alberi, piante specifici della zona.
Le leggi o princìpi etici wiccan sono fondamentalmente due: il Rede e la Legge del Tre.
«Fa' ciò che vuoi se non nuoce a nessuno». Questo è il Rede, ovvero la regola, il saggio consiglio che una Strega persegue nel momento in cui ha ricevuto l'Incarico dalla Dea attraverso una visione, una comunicazione diretta avvenuta in solitudine o durante un rito di invocazione. Il Rede è indicativo senza essere ingiuntivo, appunto si tratta di un consiglio. Nel testo wiccan del Rede, si può cogliere la misura di ciò· che costituisce la via sana, che non nuoce. Vi sono menzionati comportamenti propria­mente umani ma relati a tutti quegli elementi che si invocano per venire a partecipare al convegno nel cerchio sacro dei riti, quindi: il cerchio stesso, gli antenati, la lunazione, i venti, gli alberi, equinozi e solstizi. Ognuno di questi elementi ha una sua specificità e al tempo stesso può essere visto come richiamo simbolico che va dal piano più perso­nale alla Madre Terra, quindi operare nel Rede è operare simultaneamente su un piano individuale e cosmico. È questo il forte richiamo alla guarigione come completa consapevolezza dell'impossibilità di scindere la propria salvezza dalla salvezza di ciò che ci comprende e che a nostra volta andiamo ad includere attraverso le nostre azioni.
«Non passare alcuna stagione con uno sciocco», le Streghe rammemorano il peri­colo di trovarsi coinvolti in circuiti che rendano familiare una condotta o pensieri che allontanino dall'individuazione dell'unità. Il male peggiore è costituito dall'allontana­mento dall'interezza accessibile attraverso la Dea per dirigersi in anfratti separati. Un corpo separato, in sé o dal contatto con la Terra, fa molta fatica a individuare la sanità.
La Legge del Tre, o Legge del Ritorno, pone alla sua base la premessa che ciò che facciamo ci torna indietro, nel tempo, triplicato nella sua forza. È una legge molto controversa, di probabile matrice gardneriana, seguìta però eterogeneamente anche dalle streghe dei gruppi Reclaiming americani, gruppi a intensa militanza etico-poli­tica. La controversia sulla legge è racchiusa nella difficoltà di riconoscervi una spinta positiva e non intimativa: è possibile che una strega debba limitare le sue azioni per paura delle conseguenze e non per amore della vita e delle sue espressioni? Le inte­pretazioni positive in effetti vedono questa legge come una proposizione etica: qua­lunque cosa facciamo non finisce nel momento in cui l'abbiamo compiuta, poiché va ad inserirsi in un circuito, perlopiù ignoto, con successive ripercussioni. Un po' come l'immagine poetica evocata spesso da Edgar Morin quando ci dice che il battito d'ali di una farfalla in Europa può sollecitare un uragano in Amazzonia.

Entrambe le regole, o consigli, ispirano una particolare accortezza nella condotta considerando che non solo ogni azione si lega alle altre ma che il suo effetto -ordinario per quanto invisibile- agisce su contesti da considerarsi solo superficialmente distanti.
Quindi le leggi wiccan riguardano propriamente la condotta nella totale compli­cità e in testimonianza di ciò che ci circonda: poiché la Dea è in ogni cosa ed ogni cosa è quindi una sua manifestazione, dobbiamo considerarci immersi in un mondo perfettamente rilevante, in ogni sua forma.
L'arte praticata dalle Streghe è inestricabile dal dover conoscere la Dea nella sua miriade di fogge; una strega quindi non ha peccato e non teme la Dea, qualora ne rispetti la vitalità. L'aspirazione alla salute è perseguita contemporaneamente in tre direzioni, a loro volta ricche di estensioni: il Sé umano (inteso come materia organica e spirituale), l'orto (il giardino da curare, di qualunque misura esso sia) e la Dea (l'immanenza del sacro che permette di individuare l'identificazione fra singolo ed ambiente). Quest'ultimo punto è fondamentale, poiché senza la percezione della to­talità come intera unità di parti distinguibili è impossibile applicarsi per la salvezza.
È l'immanenza della Dea a far sì che sia possibile volgere la personale percezione del sacro a un'etica ecologicamente attiva, distante quindi da un misticismo ritirato. La tera­pia dell' ecomagia -le azioni ecologiste pagane- permette di osservare effetti nascosti sia delle nostre stesse azioni che di quelle che subiamo insieme all'ambiente. Per una strega wiccan è impensabile allontanarsi lungo le vie sacre senza sapere su quale specifico terre­no stia fisicamente posando i piedi, e questo escludendo qualsiasi senso metaforico. Una strega cura l'orto, si occupa di conoscere la rete di distribuzione e riciclo delle acque, tenta di comunicare con i suoi vicini per collaborare a lavori che siano di quartiere e che rendano vivace e qualificata la convivenza fra umani ed altre specie. Insomma una strega wiccan non si perde fra gli alambicchi e le pozioni, ma fa sì che la sua pratica sia soprat­tutto condivisibile, altrimenti la salvezza della grande casa terra diverrebbe inimmaginabile.
Le azioni simboliche e creative, le performance, sono delle celebrazioni della vita, suggerite dalla singola capacità di comunicare artisticamente la propria intimità con il sacro, e partecipano contemporaneamente dell' ecomagia e del personale ed unico accesso alla Dea. Il linguaggio astratto è ritenuto essenziale, poiché è riconosciuto come uni­co modo per dire e trattare metaforicamente ciò che non può essere espresso direttamente; così viene prediletto il mito, la poesia, il canto, i racconti, le fiabe, o altrimenti la dimensione della festa, del cerchio, del rito, piuttosto che la discussione attorno a un tavolo. Organizza­re l'astrazione in un sistema logico in grado di illustrare le precise relazioni ambientali, senza concedere spazio alle anomalie dell'esperienza individuale -siano esse fisiche o legate al pensiero-, è considerato sicuramente utile per quanto concerne il versante dell'in­tervento pratico ma infecondo per ciò che riguarda l'aderenza spirituale al mondo. È impossibile concepire e sviluppare la coscienza, la conoscenza e la comunicazione se non all'interno di un ampio mondo di relazioni. In questo incrocio di reti, comprendere e agire reciprocamente trova nell'uso del linguaggio soltanto uno dei momenti di realizza­zione e possibilità. Anche il mito necessita di una configurazione rituale, che permette di comprendere le connessioni profonde inscritte nel racconto mitico stesso. Tali ar­ticolazioni non possono ricevere senso se sono soltanto ascoltate o ripetute con le parole ma devono essere necessariamente vissute e condivise sotto forma di mutue azioni.

Dalle Streghe è considerato vano, costrittivo ed arrogante, concepire la verità come necessariamente rintracciabile da altra fonte, derivabile soltanto di seconda mano; una verità da far dipendere costantemente da un modello precedente e ufficiale, di cui non è richiesta la personale conoscenza, ma solamente un sostegno teorico-intellettuale. La visione personale, nel riferimento all'esperienza che si fa di essa, è invece la condizione prediletta di apprendimento per la wiccan. La visione, intesa in senso antropologico, ovvero come accesso alla conoscenza, è esaltata dalle Streghe come possibilità di esperire livelli di coscienza diversi da quelli ordinari. Essa comporta inoltre un'assunzione di responsabilità, poiché contiene in sé un imperativo indissolubile dalla propria condotta quotidiana. L'efficacia simbolica della visione poggia fondamentalmente sui singoli e fa leva sulla capacità di questi di allargarne il contenuto permettendo di congiungere più elementi e partecipanti agli eventi, accrescendo parallelamente la reciproca responsabilità.
La forza, l'intensità e l'efficacia dei simboli sembra essere significativamente legata all'efficacia funzionale del legame fra individuo e profondità simbolica. Non c'è un luogo separato nel quale concentrarsi e condensare l'esperienza del sacro; questo dà luce a un criterio guida: il sacro è immanente, non trascendente, è vivibile senza tregua, da chiunque e in qualsiasi azione. La visione neopagana è necessariamente efficace, poiché è essenziale e imprescindibile al procedere nelle relazioni intere intraspecifiche, e interviene dinamicamente nella quotidianità. Anche «meditare su» la Dea o il Dio apre la comunicazione con loro e li rende riconoscibili e trattabili come reali. Meditare sul Dio Cornuto o sulla Grande Madre, officiare un rito con la luna nuova oppure accendere un fuoco nel bosco, genererà prospettive e, conseguentemente, pratiche di­
verse. Si consolida così un rapporto direttamente proporzionale è tra la vastità della propria visione e la conquista e i f senso della responsabilità: ciò che si chiamati a dare.

Tornando alla necessaria percezione di una condizione di disturbo per far sì che ci si immetta nel percorso della guarigione, è probabilmente efficace integrare un pensie­ro di Alejandro Jodorowsky, contenuto nella sua idea di terapia panica, una terapia anch'essa globale, che sottolinea l'importanza di togliere il chiodo dalla propria scarpa poiché altrimenti tutti i nostri pensieri verranno raccolti da quel chiodo. Solo dopo averlo estratto sarà possibile volgersi altrove. Per Jodorowsky esiste una sola cura glo­bale: incontrare Dio, riferendosi a un Dio perfettamente coincidente con la nostra uni­ca personalità, ma tale da liberare la nostra capacità di riconoscere in quale totalità viviamo, senza chiodi nelle scarpe.

di Rebecca di Santo

in Religioni e Società,
Rivista di scienze sociali della religione.

Anno XIX, gennaio-aprile 2014


mercoledì 18 maggio 2016

"Montesole" con Giovanni Lindo Ferretti

Monte Sole, che solo a sentirlo nominare la mente si fa verde.
Monte Sole, fra settembre e ottobre 1944, che solo a sentire le mitragliatrici il verde si è fatto rosso.
Monte Sole 770 ne furono uccisi.
Monte Sole 216 bambini.
Monte Sole, antifascista.
Rebecca

"Montesole" di Giovanni Lindo Ferretti
Voglio cantare l'uso della forza che nasce dalla comprensione
La forza che contiene la distruzione
Una forza cosciente serena che sa sostenerne la pena
Capace di pietà, tenera di compassione
Capace di far fronte, avanzare, capace di vittoria, di pacificazione
Canto la morte che muore per la vita di necessità
Che rifugge il martirio, l'autodafè
Non succube di ciò che si dice di qua sull'aldilà
Potrà guardarlo in faccia per quello che è, quando arriverà

L'amore non cantarlo, che si canta da sé
più lo si invoca meno ce n'è

canto la vita che, quando è il suo tempo, sa morire e muore
canto la vita che piange sa attraversare il dolore
canto la vita che ride, felice
di un giorno di nebbia, di sole, se cade la neve
canto la sorpresa nei gesti dell'amore
canto chi mi ha preceduto, chi nascerà, chi è qui con me
sono in questo spazio essenziale, un valore aggiunto

L'amore non cantarlo, che si canta da sé
più lo si invoca meno ce n'è

canto la guerra e so, non sono in buona compagnia
canto la pace che non è un mestiere, né una ideologia
canto la libertà, difficile, mai data, che va sempre difesa
sempre riconquistata

L'amore non lo canto, è un canto di per sé
più lo si invoca meno ce n'è.

Lupo, soprannome del comandante della Brigata partigiana Stella Rossa, attiva nelle montagne del Marzabotto.
Lupo, all'anagrafe Mario Musolesi.

sabato 14 maggio 2016

Ecologia e Sacro. Rebecca di Santo



In quanti modo possiamo coniugare l'egoismo?
A me interessa porre l'accento sull'egoismo nei rapporti interspecifici e specificatamente a quella componente della condotta umana che ripiega l'individuo su se stesso, escludendolo dal più vasto dialogo con la vita. 
Questo ripiegamento, questa autoreferenzialità trova il suo culmine socio-culturale nella figura dello scienziato, del politico, dell'esecutore del così si è sempre fatto; questo uomo particolare si riconosce come ricercatore disincarnato, come figura razionale in un mondo disordinato che, come tale, viene considerato inservibile senza il suo intervento correttore. 
Nella scienza l'egoismo e l'autoreferenzialità elevano l'azzardo della frantumazione e della scomposizione della natura, a metodo e condotta. Da questa via si costituisce una prassi di violazione dell'interezza e della compostezza del cosmo. La violazione principale è fatta alla bellezza della articolata reciprocità fra tutti gli elementi, quindi alla vita stessa.
La condizione principe dell'interpretazione egotista è unidirezionale e, piuttosto che offrire impulso ad un soggetto che amplifichi la sua conoscenza, ne rivela l'ottundimento, il misconoscimento dei limiti, concorrendo alla formazione di un individuo grottesco e prepotente.
Questa forma di individualismo riposa sul terreno della decontestualizzazione e della desacralizzazione dell'esistente, convergendo verso ciò che è possibile chiamare depaganizzazione, ovvero lo smarrimento della conoscenza diretta e personale dei luoghi, delle creature viventi, della loro essenza. 
In sintesi: lo smarrimento delle forme di comunicazione che si muovono fra i regni animale, minerale e vegetale.
La rilevanza dell'educazione all'ecoismo - ovvero al riconoscimento della più vasta rete di connessioni naturali nella quale siamo compartecipi - deve essere percepita innanzitutto come necessità dell'individuo che riconosce il disagio della convivenza attuale fra le creature viventi. Un riconoscimento individuale del malessere culturale che pecca di lacune nelle relazioni. Poiché tale conversione è impegnativa e coinvolgente, non lascia spazio né nel quotidiano né nello straordinario a tempi vuoti e sospesi. L'etica, in questo caso, non concede abbuoni.
Quindi condizione necessaria alla trasformazione delle relazioni è la percezione del disagio, della condizione di chiusura, qualora si consideri una gestione tutta umana della vita.
Sembrerebbe imprescindibile opporre alla metodologia scientifica dell'intervento mirato e frantumato, la terapia di un'inquietudine volta all'unità e alla libera espressione dell'esperienza.
Trapela così l'insorgere di un approccio quasi-religioso poiché rivolto contemporaneamente all'immanenza e alla trascendenza delle relazioni fra soggetti che possono giungere ad essere denominati come sacri.
È necessaria la percezione del proprio limite e dell'esistenza attivamente vincolante del cosmo dentro e attorno. In tal modo l'ecologia può essere tradotta come esperienza sacra dell'unità, come possibilità di riconoscere e mappare il cosmo, nel quale riconosciamo di essere contenuti, per poter intraprendere una terapia globale, una terapia panica che ci conduca al riconoscimento della codeterminazione reciproca.
Perché la necessità di nominare il sacro e di rendere questo concetto come il contenitore di una rivoluzione laica? Perché, e come, utilizzare il sacro come chiave di lettura del rapporto individuo-natura, o meglio natura-cultura?
In termini antropologici la sacralità può essere specificatamente riferita alle pratiche culturali, al fatto che queste vengano considerate come esclusive e precisamente rispondenti a tutte le necessità  individuali e sociali, siano esse d'ordine pratico o di ordine spirituale.
La conoscenza ed il confronto fra diversità culturali appaiono come una desacralizzazione che mescola realtà di condotte e stili diversi e autonomi, sciogliendo la norma della intoccabilità e della incomunicabilità fra diversi credo.
Il paradosso è costituito proprio dall'elemento di ricerca di una natura umana comune che  vada a sciogliere e a lasciare comunicare le differenze ma all'interno di una risacralizzazione più ampia. L'unità nuova che viene riconosciuta supera le singole culture e riconosce una natura umana necessariamente in rapporto con la natura, volta al riconoscimento della complessità e non della autoreferenzialità.
Un ritorno al sacro come dialogo teso ad un «impegno felicitante reciproco» (Pietro Maria Toesca) che impone un salto logico ed esperienziale poiché se la singola unità è parte del gioco della diversità e se questa diversità impone a sua volta il riconoscimento di una unità allargata, l'orizzonte muta e l'individuo si ritrova al centro di nuove e ampliate connessioni, nello spazio della mente naturale.
Decontestualizzare, frammentare e distinguere permette sì di conoscere e di manipolare, ma rende poi molto arduo ricostituire il percorso inverso. Questa pratica esige, fra l'altro, un'alterazione dell'esperienza, una cosciente finzione che riduce la capacità di partecipare agli eventi, esaltandone singole parti.
La scienza richiede un'esperienza limitata alle specifiche protesi necessarie al suo operato - dal
telescopio al gene vivisezionato - ed arriva a correggere ciò che noi percepiamo quotidianamente attraverso l'azione concertata di sensi, emozioni, ricordi e progetti.
L'esperienza non-scientifica, ovvero ciò che ogni individuo sente e vive nella totale autonomia dall'astrazione dei diktat scientifici, è composta da molte altre variabili che vengono obbligatoriamente escluse nel cosmo-laboratorio nel quale opera lo scienziato. Variabili spesso irripetibili che vanno dal mito alla danza, dalla danza ad un bagno nel mare,  dal  mare  all'abbraccio di una compagna, dall'abbraccio al  fulmine  che  illumina il silenzio  del  nostro letto.
Poiché è impossibile ridurre la nostra interpretazione del mondo ai soli termini con cui possiamo comunicarlo, dobbiamo riconoscere nella cultura e nell'esperienza degli elementi che non possono essere composti e veicolati attraverso il linguaggio e concedere a questi ampio spazio.
È  possibile invitare  a dialogare con  noi, anche in questo luogo, non soltanto la   componente
razionale, verbale ma quella più segreta e arcaica. La parte connessa con il creato, che sia detta animale o sacra, rettile o vertebrata.
In questa  direzione abbiamo delle ottime indagini anche in quella che può essere considerata
la cultura ufficiale, senza doverci spaventare per pratiche troppo distanti dalla nostra quotidianità. Non è necessario spingerci all'estremo per ritrovare la nostra essenza animale, vegetale e minerale ma è anche impensabile rimanere comodamente seduti ad osservare aspettando il sovvertimento del senso  comune.
Oltre la  componente  individualista  l'homo sapiens-sapiens  vede muoversi  al suo interno altri
ominidi quali l'homo ludens, l'homo demens, l'homo religiosus. In ognuno di questi sono attive dinamiche di accesso e di dimestichezza con la curiosità, il gioco, l'inquietudine. Il gioco permette il riconoscimento dei bisogni vitali ma anche il loro superamento attraverso una alterazione dinamica della percezione e del coinvolgimento, poiché il gioco ha bisogno di regole e tali regole modificano la realtà di chi vi partecipa.
La religiosità dell'homo sapiens è il più totale riconoscimento dell'aderenza pagana all'essenza delle relazioni,  all'unicità  perenne  delle manifestazioni  della  vita.
Infine la demenza rileva l'aspetto forse più importante, quello della curiosità e della  consapevolezza dei limiti. Tale incompletezza è da considerarsi come la spinta propulsiva per trasformare la limitatezza e i contrasti umani in inventiva ed estro. Per dirla con le parole di Edgar Morin, trasmutare l'«incompletezza definitiva» di sapiens-demens  in coscienza creativa. Da tale incertezza dell'esistenza nasce l'auto-etica, l'etica che agevola i rapporti intersoggettivi fra umani e fra saperi. Il passaggio successivo è costituito dalla considerazione dell'etica interspecifica, riconoscendo diritto di comunicazione a quelle alterità che la modernità aveva escluso dal dialogo fra soggetti,  alterità  che  peraltro  non  cessano  di  raccontarsi  neanche quando  siamo  troppo  spaventati  e pigri  per ascoltarle.

Considerare che viviamo in un cosmo composto di elementi nient'affatto neutrali che testimoniano la reciprocità fondante la formazione della cultura, nulla di ciò che esiste indica omogeneità qualora ci apprestiamo all'ascolto. Siamo immersi in una sovrabbondanza di elementi il cui equilibrio vivo e irrequieto invita al rispetto e alla dinamica variazione di simboli e relazioni.
L'etica si allarga qui ad una sacralità laica, intesa come accesso ad un luogo comune non più unico ed appartato. Sacro come luogo della condivisione e perciò del coinvolgimento e delle responsabilità.
Immerso in tale prospettiva l'individuo perde il suo senso di solitudine e di ripiegamento autarchico per trovarsi al centro rutilante delle connessioni vitali.

I conigli hanno calpestato ovunque la neve. 
Ovunque continuano a spostarsi come quest'onda di cuore
che raggiunge il fiato nell'erba e le colline.
La pazienza del deserto composto da costellazioni fitte di sabbia
granelli di vastità distese e dune.
La pazienza del mutamento 
dinanzi all'interezza.

Noi in continua lotta
scomoda compostezza 
di mente e corpo
opposti come sconosciuti.
Siamo della stessa sostanza delle tracce sulla neve.
Siamo lo stesso rumore dei piedi
a frantumare il ghiaccio.
E i granelli di quel deserto sono ora sospinti dallo stesso vento.

Solo raramente ci riconosciamo fluenti, 
placate onde a rovesciarsi in spuma.
Allora apparteniamo.
Rebecca Di Santo

Ogni ceppo è sacro. 
Ogni ceppo un santo.
Ogni fiume ghiaioso una chiesa dove il salmone pellegrino tornerà.
Ogni alito di vento una poesia d'amore.
Noi preghiamo nelle paludi,
ci inchiniamo alla felce, al sasso,
alla santa salamandra, al sangue dell'acqua dolce, al corpo del muschio.
Gary Lawless





foto di Elena Usdin
di Diggie Vitt

di Diggie Vitt