sabato 14 maggio 2016

Ecologia e Sacro. Rebecca di Santo



In quanti modo possiamo coniugare l'egoismo?
A me interessa porre l'accento sull'egoismo nei rapporti interspecifici e specificatamente a quella componente della condotta umana che ripiega l'individuo su se stesso, escludendolo dal più vasto dialogo con la vita. 
Questo ripiegamento, questa autoreferenzialità trova il suo culmine socio-culturale nella figura dello scienziato, del politico, dell'esecutore del così si è sempre fatto; questo uomo particolare si riconosce come ricercatore disincarnato, come figura razionale in un mondo disordinato che, come tale, viene considerato inservibile senza il suo intervento correttore. 
Nella scienza l'egoismo e l'autoreferenzialità elevano l'azzardo della frantumazione e della scomposizione della natura, a metodo e condotta. Da questa via si costituisce una prassi di violazione dell'interezza e della compostezza del cosmo. La violazione principale è fatta alla bellezza della articolata reciprocità fra tutti gli elementi, quindi alla vita stessa.
La condizione principe dell'interpretazione egotista è unidirezionale e, piuttosto che offrire impulso ad un soggetto che amplifichi la sua conoscenza, ne rivela l'ottundimento, il misconoscimento dei limiti, concorrendo alla formazione di un individuo grottesco e prepotente.
Questa forma di individualismo riposa sul terreno della decontestualizzazione e della desacralizzazione dell'esistente, convergendo verso ciò che è possibile chiamare depaganizzazione, ovvero lo smarrimento della conoscenza diretta e personale dei luoghi, delle creature viventi, della loro essenza. 
In sintesi: lo smarrimento delle forme di comunicazione che si muovono fra i regni animale, minerale e vegetale.
La rilevanza dell'educazione all'ecoismo - ovvero al riconoscimento della più vasta rete di connessioni naturali nella quale siamo compartecipi - deve essere percepita innanzitutto come necessità dell'individuo che riconosce il disagio della convivenza attuale fra le creature viventi. Un riconoscimento individuale del malessere culturale che pecca di lacune nelle relazioni. Poiché tale conversione è impegnativa e coinvolgente, non lascia spazio né nel quotidiano né nello straordinario a tempi vuoti e sospesi. L'etica, in questo caso, non concede abbuoni.
Quindi condizione necessaria alla trasformazione delle relazioni è la percezione del disagio, della condizione di chiusura, qualora si consideri una gestione tutta umana della vita.
Sembrerebbe imprescindibile opporre alla metodologia scientifica dell'intervento mirato e frantumato, la terapia di un'inquietudine volta all'unità e alla libera espressione dell'esperienza.
Trapela così l'insorgere di un approccio quasi-religioso poiché rivolto contemporaneamente all'immanenza e alla trascendenza delle relazioni fra soggetti che possono giungere ad essere denominati come sacri.
È necessaria la percezione del proprio limite e dell'esistenza attivamente vincolante del cosmo dentro e attorno. In tal modo l'ecologia può essere tradotta come esperienza sacra dell'unità, come possibilità di riconoscere e mappare il cosmo, nel quale riconosciamo di essere contenuti, per poter intraprendere una terapia globale, una terapia panica che ci conduca al riconoscimento della codeterminazione reciproca.
Perché la necessità di nominare il sacro e di rendere questo concetto come il contenitore di una rivoluzione laica? Perché, e come, utilizzare il sacro come chiave di lettura del rapporto individuo-natura, o meglio natura-cultura?
In termini antropologici la sacralità può essere specificatamente riferita alle pratiche culturali, al fatto che queste vengano considerate come esclusive e precisamente rispondenti a tutte le necessità  individuali e sociali, siano esse d'ordine pratico o di ordine spirituale.
La conoscenza ed il confronto fra diversità culturali appaiono come una desacralizzazione che mescola realtà di condotte e stili diversi e autonomi, sciogliendo la norma della intoccabilità e della incomunicabilità fra diversi credo.
Il paradosso è costituito proprio dall'elemento di ricerca di una natura umana comune che  vada a sciogliere e a lasciare comunicare le differenze ma all'interno di una risacralizzazione più ampia. L'unità nuova che viene riconosciuta supera le singole culture e riconosce una natura umana necessariamente in rapporto con la natura, volta al riconoscimento della complessità e non della autoreferenzialità.
Un ritorno al sacro come dialogo teso ad un «impegno felicitante reciproco» (Pietro Maria Toesca) che impone un salto logico ed esperienziale poiché se la singola unità è parte del gioco della diversità e se questa diversità impone a sua volta il riconoscimento di una unità allargata, l'orizzonte muta e l'individuo si ritrova al centro di nuove e ampliate connessioni, nello spazio della mente naturale.
Decontestualizzare, frammentare e distinguere permette sì di conoscere e di manipolare, ma rende poi molto arduo ricostituire il percorso inverso. Questa pratica esige, fra l'altro, un'alterazione dell'esperienza, una cosciente finzione che riduce la capacità di partecipare agli eventi, esaltandone singole parti.
La scienza richiede un'esperienza limitata alle specifiche protesi necessarie al suo operato - dal
telescopio al gene vivisezionato - ed arriva a correggere ciò che noi percepiamo quotidianamente attraverso l'azione concertata di sensi, emozioni, ricordi e progetti.
L'esperienza non-scientifica, ovvero ciò che ogni individuo sente e vive nella totale autonomia dall'astrazione dei diktat scientifici, è composta da molte altre variabili che vengono obbligatoriamente escluse nel cosmo-laboratorio nel quale opera lo scienziato. Variabili spesso irripetibili che vanno dal mito alla danza, dalla danza ad un bagno nel mare,  dal  mare  all'abbraccio di una compagna, dall'abbraccio al  fulmine  che  illumina il silenzio  del  nostro letto.
Poiché è impossibile ridurre la nostra interpretazione del mondo ai soli termini con cui possiamo comunicarlo, dobbiamo riconoscere nella cultura e nell'esperienza degli elementi che non possono essere composti e veicolati attraverso il linguaggio e concedere a questi ampio spazio.
È  possibile invitare  a dialogare con  noi, anche in questo luogo, non soltanto la   componente
razionale, verbale ma quella più segreta e arcaica. La parte connessa con il creato, che sia detta animale o sacra, rettile o vertebrata.
In questa  direzione abbiamo delle ottime indagini anche in quella che può essere considerata
la cultura ufficiale, senza doverci spaventare per pratiche troppo distanti dalla nostra quotidianità. Non è necessario spingerci all'estremo per ritrovare la nostra essenza animale, vegetale e minerale ma è anche impensabile rimanere comodamente seduti ad osservare aspettando il sovvertimento del senso  comune.
Oltre la  componente  individualista  l'homo sapiens-sapiens  vede muoversi  al suo interno altri
ominidi quali l'homo ludens, l'homo demens, l'homo religiosus. In ognuno di questi sono attive dinamiche di accesso e di dimestichezza con la curiosità, il gioco, l'inquietudine. Il gioco permette il riconoscimento dei bisogni vitali ma anche il loro superamento attraverso una alterazione dinamica della percezione e del coinvolgimento, poiché il gioco ha bisogno di regole e tali regole modificano la realtà di chi vi partecipa.
La religiosità dell'homo sapiens è il più totale riconoscimento dell'aderenza pagana all'essenza delle relazioni,  all'unicità  perenne  delle manifestazioni  della  vita.
Infine la demenza rileva l'aspetto forse più importante, quello della curiosità e della  consapevolezza dei limiti. Tale incompletezza è da considerarsi come la spinta propulsiva per trasformare la limitatezza e i contrasti umani in inventiva ed estro. Per dirla con le parole di Edgar Morin, trasmutare l'«incompletezza definitiva» di sapiens-demens  in coscienza creativa. Da tale incertezza dell'esistenza nasce l'auto-etica, l'etica che agevola i rapporti intersoggettivi fra umani e fra saperi. Il passaggio successivo è costituito dalla considerazione dell'etica interspecifica, riconoscendo diritto di comunicazione a quelle alterità che la modernità aveva escluso dal dialogo fra soggetti,  alterità  che  peraltro  non  cessano  di  raccontarsi  neanche quando  siamo  troppo  spaventati  e pigri  per ascoltarle.

Considerare che viviamo in un cosmo composto di elementi nient'affatto neutrali che testimoniano la reciprocità fondante la formazione della cultura, nulla di ciò che esiste indica omogeneità qualora ci apprestiamo all'ascolto. Siamo immersi in una sovrabbondanza di elementi il cui equilibrio vivo e irrequieto invita al rispetto e alla dinamica variazione di simboli e relazioni.
L'etica si allarga qui ad una sacralità laica, intesa come accesso ad un luogo comune non più unico ed appartato. Sacro come luogo della condivisione e perciò del coinvolgimento e delle responsabilità.
Immerso in tale prospettiva l'individuo perde il suo senso di solitudine e di ripiegamento autarchico per trovarsi al centro rutilante delle connessioni vitali.

I conigli hanno calpestato ovunque la neve. 
Ovunque continuano a spostarsi come quest'onda di cuore
che raggiunge il fiato nell'erba e le colline.
La pazienza del deserto composto da costellazioni fitte di sabbia
granelli di vastità distese e dune.
La pazienza del mutamento 
dinanzi all'interezza.

Noi in continua lotta
scomoda compostezza 
di mente e corpo
opposti come sconosciuti.
Siamo della stessa sostanza delle tracce sulla neve.
Siamo lo stesso rumore dei piedi
a frantumare il ghiaccio.
E i granelli di quel deserto sono ora sospinti dallo stesso vento.

Solo raramente ci riconosciamo fluenti, 
placate onde a rovesciarsi in spuma.
Allora apparteniamo.
Rebecca Di Santo

Ogni ceppo è sacro. 
Ogni ceppo un santo.
Ogni fiume ghiaioso una chiesa dove il salmone pellegrino tornerà.
Ogni alito di vento una poesia d'amore.
Noi preghiamo nelle paludi,
ci inchiniamo alla felce, al sasso,
alla santa salamandra, al sangue dell'acqua dolce, al corpo del muschio.
Gary Lawless





foto di Elena Usdin
di Diggie Vitt

di Diggie Vitt









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