mercoledì 11 gennaio 2017

Nascere. di Rebecca di Santo

Sta piovendo mentre mi guardo allo specchio.
Ho il volto stanco.
Avrei bisogno di aria. Quella che taglia le guance, fatta di tramontana.
Provo ad uscire, accompagnata da giacca e ombrello.
Vago verso il cuore della città.
Quello antico.
Poche luci e puzza di urina.
Trovo un angelo che mi guarda da una finestra.
E' un addobbo di carta.
Ma non segna il natale di quella casa, segna una casa abbandonata.
Salgo le scale. 
Nell'eco umido e sconosciuto di un androne invecchiato.
Non sono romantica. Questo luogo non è romantico.
Ho paura. Cercavo l'aria e mi sento costretta.
Una lucida asfissìa.
Sollevo le gambe. Gradino per gradino.
Il mio fiato. Il cuore in gola.
Mi sento seguita, farfalla che vola via sfuggendo il retino.
Eppure vado pianissimo. 
Il primo piano, porte aperte 
e chiuse.
Salgo ancora. Verso l'angelo.
Secondo piano.
Il terzo piano, poi.
In fondo sulla sinistra, dalla porta socchiusa, arriva la luce del lampione della via.
Le palpitazioni hanno accorciato il respiro rendendomi confusa.
La testa traballa. 
Vorrei svenire e non svegliarmi.
Svegliarmi laddove ho deciso di andare e non andare più.
Ma questo non è un bivio. È la mia volontà. Il bisogno di aria che da sempre mi spinge ad andare.
Luoghi anonimi e persone sbagliate.
Luoghi anonimi e persone sbagliate.
Ancora e sempre luoghi anonimi e persone sbagliate.
Sono sull'uscio.
Fruscìo di stoffe. Corpo che si muove come un animale, ansimando.
Ancora non torno indietro.
Quello stupido angelo di carta e questa mia stupida vita, perennemente in una cappa di afa, si stanno aggrovigliando.
Potrei finir male. Per l'ennesima volta. Ma stavolta di più.
Una vecchia casa che puzza.
La voce che sento è puro dolore.
Apro la porta che nasconde quel mostro.
Il cuore mi confonde la vista.
La testa potrebbe piroettare come la punta di un compasso impazzito.
Con la stessa violenza di chi fugge io mi getto dentro.
Come se mostrassi il petto innocente alla lama di una spada.
Un groviglio di stoffa e cattivo odore si rigira per terra. Come fosse un alligatore appesantito dalle catene.
Il lampione è spietato, getta sulle pareti l'immagine ingrandita dell'angelo rendendolo caldo, accogliente.
Il coraggio mi spinge a chinarmi per poter vedere.
Una ragazza. Una giovane donna spinge i suoi occhi sgranati nei miei.
Si rivolta assieme alla testa.
Per sollevare il bacino.
Questa donna, bambina, sta partorendo.
Mi piego su di lei e le tengo le spalle.
Sono arrivata tardi.
O sono arrivata in tempo.
Per una volta nella mia vita.
Nella sua.
Nasce.

foto di Stanislav Istratov

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