Nora è seduta sulla poltroncina beige in mezzo
al salone, vicina alla porta a vetri dello spazio riservato ai fumatori.
Le
piace stare lì e fare un cenno di saluto a chi entra ed esce perché così, dice,
le sembra di stare al corso, seduta al sole con il cappello di paglia e il
rossetto rosa.
- Sedano, sedano, sedano. Il cuore verde e senza
fili. Sedano che scrocchia, sedano solo qualche volta.
Il professor Ferraresi ha impiegato del tempo
prima di unire tutte le parole e i luoghi che la memoria di Nora ricompone ogni
giorno. Era stato facile riconoscere le ripetizioni infinite dei suoi piccoli
rituali, ma individuarne il filo conduttore non lo era stato altrettanto.
Dal momento in cui Nora apre gli occhi, fino
alla sera, quando si addormenta, è tutto un muoversi in un reticolato di sogni
e vincoli. Il padre è il maestro dell’orchestra che non permette mai a Nora di
andare col suo passo. Lui sa dirigere, lui conosce tutti gli elementi e sa come
si reagisce anche agli imprevisti.
Per Nora nessun imprevisto.
Siede sulla poltroncina, il camicione color
conchiglia, il fard leggero sugli zigomi e il lucidalabbra alla fragola che
mette e rimette.
- Sedano e gassosa in vetro. Sedano verde. Il
cuore del sedano. E gassosa.
Nora è in clinica da molti anni. È entrata poco
dopo aver compiuto 18 anni.
Era un filo di carne e di voce. Le ossa
più evidenti erano quelle del volto e quelle delle spalle. Gli occhi erano
sembrati più grandi e spauriti di quanto in realtà fossero, incavati
nello scheletro.
Tutta la sua vita precedente era stata vissuta
nella parte alta di una bella cittadina toscana. La parte in abbandono in cui
solo i turisti arrivavano a passeggio. Nora li guardava da dietro la frangia castana,
sempre lunga e storta.
I primi occhi che aveva guardato con sguardo diretto
erano stati quelli di Lucia, l’unica degente della clinica con cui riusciva ad entrare in contatto quando
il mix di farmaci, la allontanava dalla sua prigione
dall’aria viziata.
Anche Lucia era molto giovane,
tondetta e sempre allegra.
Se la mente di Nora poteva essere rappresentata
come un cupo labirinto, quella di Lucia era un vasto prato luminoso, con alberi
da frutto e orridi tutt’intorno.
Lucia era stata per Nora il contatto con il
sole, di lei non aveva paura.
Ferraresi non ha mai compreso se il giorno in
cui Lucia si tolse la vita gettandosi dalla torre campanaria, Nora abbia capito
cosa fosse accaduto, vero è che il suo corpo riverso e sfranto le fu davanti
agli occhi per qualche minuto, ma nessuna reazione e, soprattutto, nessuna
variazione sui suoi tempi paranoici, permise di registrare l’evento come evento
assimilato .
Per Nora gli accadimenti hanno avuto consistenza
solo fino alla prima adolescenza, da lì in poi una nebbia lattiginosa li ha
coperti.
- Sedano.
Una vita lunga protetta dalla corruzione del
tempo, ma totalmente priva di slancio.
Il refrain felice e sciocco di un dolore
radicato e reso tenebra, così fitto il buio da non poter andare più a guardare.
Un giorno la polizia venne chiamata dai compaesani
preoccupati per la scomparsa della ragazza. Tutti conoscevano bene il padre, l’uomo da sempre in lutto, rimasto vedovo quando sua moglie
era morta di parto.
Al momento in cui bussarono all'uscio quell’uomo era morto già da qualche settimana.
Nessuno venne ad aprire.
Dopo aver sfondato la porta trovarono Nora al
piano superiore della piccola casa. Era seduta alla finestra, coperta da un
grande scialle di lana color amaranto. Ai piedi degli scarponi da montagna.
Non si era voltata neanche per il frastuono,
l’invasione del suo silenzio non l’aveva minimamente interessata.
I poliziotti avevano chiamato la clinica ed
erano arrivate due infermiere.
Le avevano parlato, l’avevano carezzata, poi
l’avevano esortata ad alzarsi, a prendere dei vestiti da portare con lei.
Ma Nora non le aveva sentite, era così lontana che
dovettero alzarla e trascinarla, non perché opponesse resistenza ma perché era
totalmente passiva.
Il professor Ferraresi la incontrò solo il
giorno dopo, quando era stata lavata e nutrita con le flebo. Oltre l’aroma del
bagnoschiuma e dello shampoo, era possibile intravedere la giovanissima ragazza
che era. Il suo corpo aveva reagito subito al cibo chimico, al
calore della notte passata in un letto pulito.
Negli anni, questi erano stati gli unici
risultati: un corpo in buona forma, il ritmo sonno veglia sempre preciso, ma
Nora non era mai atterrata.
Le evidenze del suo comportamento conducevano
tutte al rapporto con il padre.
La gassosa che beveva da bambina ai bordi del
campo di bocce in cui lui giocava.
Il sedano del pinzimonio, che sembrava il cibo
degli Dei nelle loro serate estive, con la finestra aperta e il silenzio come
condimento.
Ma questo e nient’altro era stato possibile
ricostruire.
Davvero pochi i momenti in cui la loro piccola e
lugubre famiglia aveva vissuto in pubblico.
Il medico di famiglia aveva visto per l’ultima
volta Nora, attorno al suo dodicesimo anno, quando aveva avuto il menarca,
dopodiché più nulla.
Ora il corpo di Nora era vivo, sano. In lei
tutto funzionava, ma la sua mente era stata corrotta a tal punto da divenire
impermeabile alla vita.
La piccola Nora, ora donna di cinquant’anni,
viveva nell’eterno presente di una giornata ideale, senza dolore, senza
coscienza.
Rebecca
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