domenica 16 luglio 2017

Femminicidio. Violenza di genere. Barbarie degenere. Rebecca di Santo


Femminicidio:
omicidio di una donna per questioni di genere, ma anche qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte
composto di femmina e -cidio uccisione.

Testi originali pubblicati su


Fotogramma dal film “Turn me On, Dammit!”


Fotogramma dal film “Turn me On, Dammit!”



Nel 2013 l’Italia ha prodotto una Legge in merito al femminicidio, nell’ottica della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica.  Convenzione
Ciò che nella legge si evidenzia è che il femminicidio è una violazione dei diritti umani.
Le pene, nel tempo, si sono inasprite (fino all’ergastolo) ed è affiorata la difesa dei diritti degli orfani vittime di violenza domestica. Sospensione immediata del diritto di reversibilità della pensione del coniuge ucciso.
Ma le leggi non producono cultura, almeno non nell’immediato, così il delitto o la violazione dell’identità femminile da parte dell’uomo rimangono, in Italia e non solo, un problema sociale.

Il femminicidio ha in sé una radice da poco recisa, ovvero il “delitto d’onore”, non si tratta di una radice di superficie ma di una radice profonda che ha visto il Codice Penale 19.10.1930 con la Legge 587 delittod'onore, con questa legge si riteneva l’omicidio di una moglie, sorelle o figlia come un delitto di natura diversa da altri delitti o da altre lesioni personali. La legge faceva sì che con il “delitto d’onore” l’assassino avesse delle attenuanti e il femminicidio veniva punito con un nulla di carcere, da uno a tre anni. Queste legge è stata abrogata il 05.08.1981. Per chi è nata nel nuovo millennio potrà sembrare tanto tanto tempo fa, ma così non è. Il 1981 è ieri dal punto di vista culturale. art-587-omicidio-e-lesione-personale-a-causa-di-onore

I "verbi" sono presi dalla campagna contro la violenza di genere di noino.org






















Ad oggi, in Italia, la prima causa di morte delle donne dai 14 ai 44 anni è la violenza subita da un uomo.
Il delitto d’onore rimane in tutta evidenza un delitto psicologicamente concepito dagli uomini che con noi convivono. Quegli stessi che ci amano, che di noi si ritengono garanti e protettori, che ci preservano dai pericoli come fossimo fragili fuscelli nelle loro mani.

In 7 casi su 10 i femminicidi si consumano all'interno del contesto affettivo.
Le armi da fuoco sono lo strumento principale usato per uccidere, molti avvengono con armi da taglio.
Ma molti sono gli omicidi a "mani nude" (percosse, strangolamento, soffocamento), così si muore, ammazzate. Per mano di chi abbiamo amato, o per mano di chi ci ha fatto avere paura.























La violenza di genere, in tutte le sue sfumature, non è il parametro unico da cui osservare il rapporto donna-uomo, ma è di certo quello che più di tutti evidenzia chi siamo nel confronto di genere.

Le discriminazioni sono attive in ambiti ben noti: politica, università, ricerca, istituzioni bancarie, e non a caso cito i luoghi in cui la carriera o l’accesso prevedono un certo livello di cultura acquisita. Non a caso cito luoghi che fanno della speculazione intellettuale, delle capacità finemente psicologiche e delle attitudini relazionali un fulcro. Ebbene è qui, in questi contesti democratici e alti che le discriminazioni fanno ancora più effetto.
In questi luoghi, al linguaggio sessista, sdoganato in ogni dove, si aggiunge la qualità delle diverse mansioni, delle diverse retribuzioni, dei diversi accessi gerarchici.
Quante sono le parole della discriminazione?
Tante e tutte efficaci.

Un breve video ce ne ricorda alcune. ParoleDegenere
Si legge nelle informazioni che accompagnano il video:

Con questo cortometraggio Pietro Baroni prova combattere queste discriminazioni verso le donne, per raccontare e denunciare.

Perché parlandone si ha l’occasione di spiegare meglio, non ignorare e rivendicare il proprio diritto di essere donna.

Le battute citate nel video sono vere, tratte da situazioni che le donne intervistate hanno vissuto realmente.

Centinaia di persone hanno prestato il loro volto pronunciando una serie di frasi sessiste e hanno interpretato i personaggi che compaiono nel video.


Solo fino alla metà degli anni ’60 gli squilibri ormonali femminili faceva sì che una donna non potesse divenire Magistrato.

Quindi siamo ancora all’alba di una società di pari.

Poi ci sono giorni che ci dicono che siamo nel pieno della barbarie.
In questo luglio 2017 la barbarie si è palesata.
Quattro donne uccise, una ragazza picchiata ora fuori pericolo in due soli giorni.

Cosa emerge, oltre il punto di vista sociale?
Emerge che denunciare non salva la vita.
Tante delle donne che vengono assassinate, hanno subito l’orrore della violenza, la paura di essere seguite, picchiate, violentate.
Io stessa denunciai un amico, ero giovanissima.
Erano gli anni ’90, e il massimo che mi fu consigliato di fare presso il Commissariato di Polizia, consistette in un esposto con il quale la Polizia procedeva a intimare a quella persona di non avvicinarsi nella mia zona, di lavoro e di abitazione.
Andavo al lavoro accompagnata, ma questo non bastava, comunque me lo ritrovavo sull’autobus, nei pressi di casa, telefonava in piena notte al telefono fisso.
Non so cosa accadde. Dovetti chiedere più volte l’intervento delle Forze dell’Ordine.
E poi finì.
Non so cosa accadde, ripeto. Semplicemente lui non apparve più.
Quindi è questa la parte delicatissima, ciò che accade quando si trova il coraggio di denunciare. Il coraggio di dire “quest’uomo mi fa del male”.
Rispetto a ciò che ho appena raccontato, ho ricevuto molti più abusi in realtà. 
Abusi "leggeri" (è possibile definirli così?) nell'ambito delle amicizie familiari.
Gli adulti di cui ci si fida. Io ero bambina e poi poco più che bambina. Dall'altra parte sempre un uomo più grande che faceva di quella fiducia naturale uno strumento di sopruso e prepotenza. Con la tracotante sicurezza (culturale?) che quella bambina avrebbe taciuto. Così fu, infatti.

La prevenzione e il controllo.
Chi è coinvolto? La scuola, la sanità, le forze dell’ordine, ma sui territori ci sono le associazioni, alle quali rivolgersi. Queste operano abbracciando le vittime da più punti di vista: legale, psicologico, medico.
Il femminicidio non è solo condurre a morte una donna, è femminicidio tutta quella violenza, quella sopraffazione, operata sulla donna all’interno di un rapporto amoroso.

E tutto questo inizia molto presto, sin nei rapporti della primissima adolescenza.
Un’età in cui si imita l’amore con audacia e senza consapevolezza del futuro. 
Pensare alla confusione e alla paura indotte da un rapporto morboso e violento in giovane età fa male. Oltre al timore si innescano processi di finzione e sottomissione.
Lì dobbiamo vigilare come genitori, come insegnanti, come confidenti dei nostri figli.
Perché la radice di questa cultura dell’umiliazione e del possesso venga estirpata.

Altre vie non ci sono, se non la parola e la vicinanza.

E, nella vita, tanta fortuna. Questo ho vissuto finora.




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