domenica 7 maggio 2017

"Seguendo la virtù" di Rebecca


Lo sguardo serio, spinto nel vuoto, rotea a ogni giro di pirouette seguendo i quadri appesi al muro, la disposizione dei divanetti, la finestra. La musica un tutt’uno coi piedi. 
Se avesse dovuto descrivere l’armonia l’avrebbe descritta come un vortice con al centro la danza. I piedi come l’ago del compasso a creare cerchi, cerchi infiniti. Talvolta spezzati, talvolta premuti addosso. 
L’aspirazione che aveva, non era a espandersi, aspirava a percepire in maniera sempre più distinta e naturale il fulcro, il punto di partenza.
E così la punta dei piedi era sempre in diretta e spontanea comunicazione con la testa. E un giro, e un giro, e altri giri.
Annabella ballava dall’età di tre anni. Una vita di passi inciampati e riusciti. Lo specchio era stato onnipresente, come dire, era stato uno strano amico immaginario al cui interno c’era la sua immagine riflessa. Un amico immaginario con la sua stessa faccia ma molto, molto più severo. Non nascondeva mai nulla e metteva sempre in evidenza gli errori.
Spesso lo specchio svelava una grande stanchezza, mostrando ai suoi occhi, invaghiti dal ritmo e dalle coreografie, delle profonde occhiaie e il sudore che scendeva lungo la schiena e bagnava la nuca.
La mamma riferiva alle amiche della passione di sua figlia, ma sentiva di non rendere giustizia a ciò che accadeva. Più che una passione si trattava di un'ossessione. Una pressione irresistibile che spingeva la sua bambina a muoversi in un'unica unità di cuore e testa in ogni minuto della sua vita.

Oltre lo specchio di casa c’erano quelli della scuola. La sala in cui si esercitava era bellissima: uno spazio grande, grandissimo. Bianco a terra e bianco nel soffitto. Tutte le pareti erano solo e unicamente specchi. Impazziva lì dentro. Spesso, se non sempre, rimaneva oltre l’orario delle lezioni. Rimaneva e le volte migliori erano quelle in cui continuava a danzare anche senza musica. Nessuno poteva mettersi al suo fianco senza arrivare a dover mollare. Nessuno.
Poi iniziò il cedimento. Non fu graduale, fu repentino.
Attorno ai tredici anni avvertì netto l’ingresso fra i suoi pensieri di qualcosa che strappò i piedi dal suo arabesque e mutò il senso delle cose.
Fin lì la bellezza era stata tutt’uno con la solitudine, quella bellezza parlava una sola lingua ed era una lingua che lasciava interi universi. Avrebbe voluto continuare così. 
Ma il mondo invase letteralmente il suo corpo.

Era un sabato. Tutti gli allievi della scuola andavano di fretta. 
Il Maestro, finché non reputava chiusi gli esercizi di riscaldamento, non permetteva a nessuno di iniziare a danzare. Intanto tutti i ragazzi subivano la fretta di raggiungere gli impegni fuori dalla scuola. 
Finalmente, “un, due, tre e quattro” la coreografia poté iniziare. 
Così, nel colmo del suo entusiasmo, Annabella si trovò in un passo a due, spinta contro i seni di Serena. Avevano avuto molti pezzi da ballare insieme. Anche Serena ballava da tempo. Molte volte i loro corpi si erano poggiati l’uno all’altro. Come con Andrea, Simona o il Maestro stesso. Ma mai aveva potuto avvertire la differenza.  
Invece, quel giorno, si sciolse il sigillo della perfezione e avvenne lo schianto. La perfezione dei suoi cerchi subì un’alterazione del tutto chiara.
Si insinuò gradatamente il disordine. La giovane età contribuiva al convincimento che tutto sarebbe tornato come prima, infatti per molto tempo fu così. 
Ma Annabella non poteva non avvertire che la schiena si andava facendo rigida, l’addome si ritraeva e le spalle non accoglievano più l’altro ma sembravano lavorare poggiate ad una balaustra. A forza di fingere e di impostarsi arrivò a sentire di nuovo una leggerezza appropriata, non veniva dal cuore forse, ma la testa ne possedeva le dinamiche.
Fu dopo quattro anni che il rumore di fondo tornò ad essere persistente e drammatico. L’amico immaginario di casa prese sempre più il posto della sala della scuola. 
Non reggeva i corpi delle ragazze. Non riusciva a integrare le sensazioni note a quelle nuove così invadenti e dolorose. Non riconosceva più il suo mondo e non aveva le parole. 
La grammatica della sua famiglia era sempre stata esclusivamente femminile, con il riferimento alla mamma e alle sue amiche; grammatica che aveva permesso la costruzione di un universo saldo in cui vivere come stella indipendente di un sistema solare accogliente ed esile. Gli uomini incontrati erano legati a incontri superficiali: compagni di classe, il prete del catechismo – per quei due mesi che lo aveva frequentato –. La differenza l'avevano fatta i ballerini e i Maestri. Ma lì non aveva mai approfondito nessun contatto se non quello estetico e quasi mistico; gli altri erano parte fisica delle sue necessità primarie.
Aveva inteso la vita come una profonda connessione del mondo spirituale con quello biologico, così intendeva la bellezza. Ma nel suo alfabeto non erano stati previsti fonemi che potessero originare significati di sessualità.
Quando si trovò a raccontare la sua storia ai nipoti non riuscì a nascondere lo stupore. Nonostante fossero passati più di sessanta anni continuava a non comprendere come fosse stata possibile quella omissione. Fra tutte quelle donne che avevano costruito il senso della vita, nemmeno una parola sul sesso. Una parte di mondo ignota. Condensata in quel sudore della danza, in quella tensione che riusciva a protrarre per ore.

A partire dai diciassette anni pian piano sviluppò la mappa del suo eros. 
Ma nulla raggiungeva quel primo piacere provato al contatto con i seni di Serena, spinti sul suo corpo durante la danza.
Osservava le ragazze dai seni di pietra, le donne abbondanti e morbide, le anziane che avevano abbandonato la seduzione. Con gli anni imparò che la danza era il suo modo di elevare i suoi desideri sensuali. Così tornò a rilassare le spalle, tornò a specchiarsi e fece del piacere un elemento artistico.
Quando Annabella divenne coreografa e ballerina di fama internazionale si sentì liberata e soprattutto sentì di non aver subito nessun torto. La sua compagnia di danza aveva per nome “Il Gineceo”, nonostante fosse frequentata da molti uomini che si esercitavano alla sbarra della sua scuola. La danza non ha sesso, finché non lo si scopre.

«La bellezza – sta raccontando in questo momento ai nipoti – è questione di armonia e gentilezza. Voi sapete quanto ho amato vostra nonna. Voi sapete che ho avuto una sola donna nel cuore. Ci siamo amate in silenzio per una lunghissima vita. Potevamo amarci appieno soltanto nel momento in cui eravamo esposte al massimo. Ci amavamo sul palco. Ci amavamo regalando emozioni e venivamo applaudite per questo. Io posso dire questo… tutto sommato non ci siamo mai nascoste.»
La risata di Annabella è una risata anziana, in un corpo magro e sul quale le rughe tracciano storie e splendore.
di Rebecca


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