mercoledì 3 gennaio 2018

Amore senile, amore che vai. di Rebecca di Santo



Ugo se ne sta in fila. In fondo, alla cassa, la lentezza frammista alle chiacchiere non lo agita. Non ha fretta. Nel carrello un etto e mezzo di prosciutto cotto, gli gnocchetti in busta, tre banane, un succo di frutto alla mela, uno ai frutti rossi, la mezza baguette e un piede di cappuccina. 
Pranzo e cena entrano in una busta minuscola. Il latte in casa c’è, anche il caffè. L’acqua del rubinetto va benissimo. Il vino solo raramente, e col cotto non sta bene, un’altra volta.
Intanto nel pomeriggio Serena viene per le pulizie, c’è anche da stirare, chissà se può rimanere più a lungo.
- Buongiorno Ugo! L’hai preso il cotto Ferrarini che è in offerta?
- Buongiorno, sì, grazie. Ne ho preso poco… casomai domani lo riprendo.
- Sì, tanto l’offerta dura fino a martedì prossimo.
- Grazie. ...grazie.
Due parole e il conto di Ugo è fatto.
- Sono 8 euro e 49.
Ugo coltiva la lentezza, conta i suoi spicci; lì al supermercato non ricordano di averlo mai visto con banconote più grandi di quelle da 10 euro.
Con la sua bustina di stoffa si allontana.
Un cenno di saluto alla ragazza nigeriana che aspetta una mancia o una scatola di fagioli all'uscita del supermercato. Ugo le ha dato qualcosa solo raramente, ma ricorda che quelle rare volte si è trattato di confezioni di biscotti, i tarallucci o le macine del Mulino Bianco, sempre quando ci sono le offerte.
Ora è sul marciapiede, che cammina pian piano verso casa, neanche 500 metri di distanza.
Ripensa a quando andavano a fare la spesa al mercato in piazza. Andava raramente, capitava soprattutto nei giorni dei preparativi per il Natale e per il Capodanno. Quel ricordo ora gli fa sentire un leggero pizzicorìo nel petto, un brivido del cuore.
Arrivato al cancello del palazzetto si ferma a riprendere fiato da quella malinconia, poi prende il portachiavi dalla tasca della giacca, apre e inizia a salire: terzo piano, senza ascensore. Al momento delle trattative per la casa non avevano neanche pensato potesse essere un problema e invece eccolo, ogni mezza rampa fermo a riprendere fiato.
Finalmente il terzo piano arriva. Il portachiavi incastrato fra le dita e la busta. Si guarda un attimo l’indice e il medio segnati dal peso portato, la fede che oramai non può più togliere perché le ossa si sono ingrossate con i reumatismi. Il portachiavi passa nella mano destra, ciondola consumata una piccola gondola del viaggio a Venezia, e, con la chiave lunga, Ugo apre la porta; appena l’uscio si apre l’odore di casa subito lo riscalda, che sia estate o inverno, lo accoglie sempre come un abbraccio leggero.
D’estate fanno da padrona cipolle fresche e tonno in scatola dall’olio sgocciolato al centro dello scolo del lavabo, pomodori e basilico, pasta dal sughetto di san marzano e profumo di aglio.
L’inverno è dei cavoli, cime di rapa per la pasta, verza con le salsicce per le reminiscenze del’esperienza tedesca, e poi ragù cotti nella lentezza delle domenica mattina, uova in ogni forma.
E l’odore del caffè.
L’aroma del caffè è forse l’unico che non desta la malinconia in Ugo ma, ancora e sempre, l’entusiasmo, l’attimo di brio che reca energia al solo pensiero.
Entra in casa Ugo, la sportina sul tavolo in formica.
Subito il prosciutto, l’insalata e gli gnocchetti nel frigorifero. Il frigo non è pulitissimo, ma ordinato e luminoso. Le banane le mette nel contenitore sul davanzale, i succhi di frutta nella credenzina e la baguette nel portapane vicino alla radio.
Si sono fatte le dodici, ma non ha fame.
Seduto sul divano in velluto della sala, Ugo si abbandona con la testa allo schienale. Con gli occhi chiusi lascia scivolare la mano lungo il cuscino a fianco. La mano di Clara lo prende, un po’ fredde le dita, ma accogliente il palmo. Ad occhi chiusi tutto vortica e si condensa nel presente: il giorno del Sì, la notte in attesa che nel Ghetto il silenzio tornasse, il viaggio a Venezia, il borbottìo delle bottiglie di conserva di pomodoro nei bidoni sull’aia.
La vertigine di ricordi si chiude con gli occhi di Clara serrati nel buio. A quella memoria Ugo reagisce di scatto e ritrae la mano. Al suo fianco solo lo spazio gigante del divano. Il velluto verde, segnato dagli anni, conserva con lui la memoria tangibile della storia che fu.
C’è silenzio in casa. 
Clara non tornerà. 
Eppure, fra le dita di Ugo, la fede datata 15 febbraio 1966, segna l’eternità del loro incontro.
Rebecca






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