Un'altra cosa è il fatto che il bar,
per propria struttura, accoglie tutti, ogni genere di relitto umano e di
bellezza umana e di mediocrità, li tiene tutti
assieme sotto lo stesso soffitto di compensato, fa respirare a tutti lo stesso
odore di brioches calde, offre a tutti lo stesso calice, lavato rilavato, ma
allo stesso tempo il bar non offre alcun riparo dalla morale, perché non è in alcun modo un luogo
eticamente neutrale. Il bar è un microcosmo morale,
e anzi, di una morale radicale, fatta di discussioni voraci, davanti al vino,
di gente che si dimentica di mangiare pur di continuare a parlare, e l'ultimo
che parla, quella è l'idea dominante, il bar la pensa così. Tu puoi entrare, sederti, parlare con tutti, ma non
sarai mai, davvero mai, al di là del bene e del male.
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Io sono la barista, e solo per il fatto che scrivo, e
per quello che scrivo, mi colloco nettamente al di fuori del cerchio morale. Ma
nessuno lo sa.
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Sono le tre del pomeriggio e il bar è vuoto, un bar vuoto è uno spettacolo
desolante, la cosa più desolante di un bar vuoto è la cucina, e nello
specifico l'affettatrice spenta, al buio, sul banco di acciaio. Posso farmi un
caffè per dimenticare che il bar è vuoto, e ascoltare il
rumore del macinacaffè per dieci minuti. dimenticarmi assieme al bar vuoto
del resto delle cose.
di Simona de Salvo
di Sas Christian. |
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