Negli
anni cinquanta io me ne andai, come oggi i ragazzi vanno in India, vanno via,
anch’io me ne andai, nauseato, stanco, da questa Roma del dopoguerra, io allora
a vent’anni, mi trovavo di fronte a questa situazione, andai via da questa Roma
anni 50.
E
me ne andavo da quella Roma addormentata, da quella Roma puttanona, borghese,
fascistoide, quella Roma del "volemose bene e annamo avanti", quella
Roma delle pizzerie, delle latterie, dei "Sali e Tabacchi", degli
"Erbaggi e Frutta", quella Roma dei mostaccioli e caramelle, dei
supplì, dei lupini, dei maritozzi con la panna, senza panna, delle mosciarelle.
Me
ne andavo da quella Roma dei pizzicaroli, dei portieri, dei casini, delle
approssimazioni, degli imbrogli, degli appuntamenti ai quali non si arriva mai
puntuali, dei pagamenti che non vengono effettuati, quella Roma dei funzionari
dei ministeri, degli impiegati, dei bancari, quella Roma dove le domande erano
sempre già chiuse, dove ci voleva una raccomandazione.
Me
ne andavo da quella Roma dei pisciatoi, dei vespasiani, delle fontanelle, degli
ex-voto, quella Roma della Circolare Destra, della Circolare Sinistra, del
Vaticano, delle mille chiese, delle cattedrali fuori le mura, dentro le mura,
quella Roma delle suore, dei frati, dei preti, dei gatti.
Me
ne andavo da quella Roma cogli attici con la vista, la Roma di piazza Bologna, di
via Veneto, di via Gregoriana, quella dannunziana, quella barocca, quella
eterna, quella imperiale, quella vecchia, quella stravecchia, quella turistica,
quella di giorno, quella di notte, la Roma dell'orchestrina a piazza Esedra, la
Roma di Propaganda Fide, la Roma fascista di Piacentini.
Me
ne andavo da quella Roma che ci invidiano tutti, la Roma caput mundi, del
Colosseo, dei Fori Imperiali, di Piazza Venezia, dell'Altare della Patria,
dell'Università di Roma, quella Roma sempre col sole - estate e inverno - quella
Roma che è meglio di Milano.
Me
ne andavo da quella Roma dove la gente orinava per le strade, quella Roma
fetente, impiegatizia, dei mille bottegai, degli annessi, quella Roma di Gucci,
di Ianetti, dei Ventrella, di Bulgari, di Schostal, delle Sorelle Adamoli, di
Carmignani, di Avenia, quella Roma dove non c'è lavoro, dove non c'è una lira, quella
Roma del "core de Roma".
Me
ne andavo da quella Roma Banca Commerciale Italiana, del Monte di Pietà, di
Campo de' Fiori, di piazza Navona, quella Roma dei "che c'hai una
sigaretta?", "imprestami cento lire", quella Roma del Coni, del
Concorso Ippico, quella Roma del Foro che portava e porta ancora il nome di
Mussolini.
Me
ne andavo da quella Roma dimmerda!
Mamma Roma: Addio!
Remo Remotti
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