La primavera mi azzanna; non la tollero. È per questo che mi stropiccio addosso
grumi di terra umida.
L'avanzata torrida del sole mi costringe a scavare sempre più in fondo.
Quando la terra mi si apre sul volto, sulle braccia e gli occhi, per un istante
mi ritrovo in forma e dimentico dove sono.
Qui non c'è mai silenzio e il tempo, a tratti, è violento e deflagra con fiumi di suoni.
Riesco a distinguere contemporaneamente centinaia di voci, di ognuna posso
seguire le parole senza che si confonda con le altre. È terribile e non mi
permette di ragionare. Anche di notte non smetto di
sentire questo frastuono. Come fossero onde di oceano, seleziono a caso quella da cui mi
lascerò toccare e ne lascio andare altre sullo sfondo.
È una tensione infinita che solo il gelo riesce ad allentare. Quando fa freddo
posso ghiacciarmi e, per un po', riposare. Come cima di nevaio mi racchiudo in
me e si contraggono i miei sensi. Ora questa primavera sta di nuovo violando il
mio sparire.
E la sua è la prima voce che mi ha raggiunta.
Bambina mia, è
proprio per non doverti ascoltare che imploro l'inverno e la glaciazione di
questo mio esisterti lontana.
Ho distinto il primissimo suono quando l'ultimo cristallo di neve è divenuto
vapore, sotto l'insistenza melliflua del sole: quel suono eri tu.
Mai avrei pensato di definirti canto o, addirittura, coro.
Cinciallegra inviperita, ti ho sentita dire: - Ma davvero non sai che domani
vado al concerto?
La voce di tuo padre è meno brillante. La tua squilla e la raccolgo come un
girasole in un campo a maggese.
- Papà! Te l'ho detto mille volte. Il concerto dei Cure. Dei Cure!!! -
Poi si svegliano i vicini di casa. E quelli in fondo alla via. C'è anche
qualcuno sotto il ponte che si muove fra i cartoni.
Quando il dolore diventa
troppo, alzo il volume e ti metto dietro a tutto.
Bambina mia, piccola donna dagli occhi neri, coraggiosa guerriera.
Da quando sono morta sono costretta a questo.
La morte ha chiuso la via verso di te. Posso sentirti ciarlare. Ho sentito
anche il rumore delle tue labbra sulle labbra di un ragazzo. E le tue lacrime
cadere, con un suono cupo e discontinuo, sul tavolo della cucina. Oppure
sfasciarsi sul cotone del cuscino.
Ma non posso vederti. Non puoi vedermi.
È una tortura amore mio, questa morte.
Odio la primavera che dà spazio al mio amore.
Da quando sono morta voglio solo terra a coprirmi. Di più, di più.
di Rebecca
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