venerdì 3 giugno 2016

"Nel gelo" di Rebecca


La primavera mi azzanna; non la tollero. È per questo che mi stropiccio addosso grumi di terra umida. 
L'avanzata torrida del sole mi costringe a scavare sempre più in fondo. 
Quando la terra mi si apre sul volto, sulle braccia e gli occhi, per un istante mi ritrovo in forma e dimentico dove sono.
Qui non c'è mai silenzio e il tempo, a tratti, è violento e deflagra con fiumi di suoni.
Riesco a distinguere contemporaneamente centinaia di voci, di ognuna posso seguire le parole senza che si confonda con le altre. È terribile e non mi permette di ragionare. Anche di notte non smetto di sentire questo frastuono. Come fossero onde di oceano, seleziono a caso quella da cui mi lascerò toccare e ne lascio andare altre sullo sfondo. 
È una tensione infinita che solo il gelo riesce ad allentare. Quando fa freddo posso ghiacciarmi e, per un po', riposare. Come cima di nevaio mi racchiudo in me e si contraggono i miei sensi. Ora questa primavera sta di nuovo violando il mio sparire.
E la sua è la prima voce che mi ha raggiunta. 
Bambina mia, è proprio per non doverti ascoltare che imploro l'inverno e la glaciazione di questo mio esisterti lontana.
Ho distinto il primissimo suono quando l'ultimo cristallo di neve è divenuto vapore, sotto l'insistenza melliflua del sole: quel suono eri tu. 
Mai avrei pensato di definirti canto o, addirittura, coro. 
Cinciallegra inviperita, ti ho sentita dire: - Ma davvero non sai che domani vado al concerto? 
La voce di tuo padre è meno brillante. La tua squilla e la raccolgo come un girasole in un campo a maggese.
- Papà! Te l'ho detto mille volte. Il concerto dei Cure. Dei Cure!!! -
Poi si svegliano i vicini di casa. E quelli in fondo alla via. C'è anche qualcuno sotto il ponte che si muove fra i cartoni. 
Quando il dolore diventa troppo, alzo il volume e ti metto dietro a tutto.
Bambina mia, piccola donna dagli occhi neri, coraggiosa guerriera. 
Da quando sono morta sono costretta a questo. 
La morte ha chiuso la via verso di te. Posso sentirti ciarlare. Ho sentito anche il rumore delle tue labbra sulle labbra di un ragazzo. E le tue lacrime cadere, con un suono cupo e discontinuo, sul tavolo della cucina. Oppure sfasciarsi sul cotone del cuscino. 
Ma non posso vederti. Non puoi vedermi.
È una tortura amore mio, questa morte. 
Odio la primavera che dà spazio al mio amore.
Da quando sono morta voglio solo terra a coprirmi. Di più, di più.
di Rebecca

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