Quanto tempo e quanta stolida vanità compongono la volontà di esistere di questo blog.
Ho un groppo enorme che si sposta fra nuca e gola, che si sfascia nella velleità della scrittura che si farà testo.
Velleità: aspirazione inattuabile per incapacità.
Non un giochino, non un lo farò più tardi, no, qui siamo di fronte ad un'ammissione di fallimento e questo blog non racconta del dono della scrittura, ma della sua negazione.
Ho preso parole altrui e costruito con parole mie ma scrivere vuol dire "vivere ben altra vita" [Corazzini: La desolazione del povero poeta sentimentale].
Scrivere qui è l'urlo di sopravvivenza per non riuscire a scrivere altrove, quell'altrove programmatico che richiede una postazione fissa (del progetto), altrove che richiede il lavoro dello scrittore, che richiede la storia, che si agita nella trama viva flessa nell'alfabeto.
Il mio groppo è proprio questo, un groppo di immagini e parole.
Ora vi racconto una storia, anzi l'unica storia che conosco.
Una donna è ferma sulla spiaggia, all'alba.
È stata svegliata da un temporale potente, ha imbracciato la borsa con la sua macchina fotografica e gli obiettivi, ed è corsa verso il mare.
di Omar Ortiz |
Ecco la mia storia.
Questa donna, che ancora non ha un nome di battesimo ma solo nomi occasionali, è intrappolata nel mio progetto. Sembra uno di quei personaggi della wii, personaggi che sbattono e risbattono contro un ostacolo, abbozzi dai bordi rigidi che devono essere liberati.
Tutto questo anno di blog potrei sintetizzarlo così: con la mia donna zuppa sotto un'acquazzone davanti alla mareggiata.
Conosco il suo mestiere. So dove andrà da lì a qualche ora.
So gli incontri che farà, conosco benissimo il contesto in cui avverranno, ma non riesco a raggiungere la postazione fissa e a lei tocca restare lì.
Questo blog è il rifugio.
Ma questo blog è anche sostanza.
Grazie al granito che si oppone alla pietra molle della velleità in questo anno sono passata dall'apertura con il compagno Alekos Panagulis, con la sua umanità straziante e mitica (per quanto esistita e torturata nella carne e nelle ossa), ai volti delle donne offesi dall'acido del maschilismo impunito e ottuso.
http://rebeccaarcobaleno.blogspot.it/2015/08/voglio-di-alekos-panagullis.html
http://rebeccaarcobaleno.blogspot.it/2015/09/il-volto-delle-donne-di-rebecca.html
E poi ho vissuto la grande, grandissima storia della Rivoluzione degli Uncinetti. La storia che mi ha unita al Sudafrica, a Nelson Mandela e ad un progetto che mi piazza al centro di un mondo di gomitoli e coperte che sono accoglienza e colore.
Centro Baobab a Roma, via Cupa. 15 gennaio 2016 |
Michelina e Mirella al Centro Baobab di Roma. 15 gennaio 2016 |
http://rebeccaarcobaleno.blogspot.it/2015/08/la-rivoluzione-degli-uncinetti-67.html
I pezzi della mia personale vita:
l'antropologia e il matrimonio.
l'antropologia e il matrimonio.
http://rebeccaarcobaleno.blogspot.it/2015/08/unantropologa-senza-antropologia-di.html
http://rebeccaarcobaleno.blogspot.it/2015/09/a-dicembre-mi-sposo-di-rebecca-di-santo.html
Michele e Rebecca Sposi 23 dicembre 2015 |
Lo sfondo è multiforme: ci sono io, c'è la guerra, c'è la Siria, ci sono tantissime parole.
Ci sono le Afriche, gli ospedali di Aleppo, ci sono i morti, c'è il Mediterraneo.
Ci sono delle grida che leggendo dovreste sentire.
Su tutte quelle di una Umanità piantata in fondo alla storia delle Nazioni e dei confini.
Fra loro rare voci che fanno delle grida un canto di futuro.
Fra loro lo strazio di chi sa amare in questo rollìo nauseante.
https://www.youtube.com/watch?v=A16VcQdTL80
da Rebecca, nel primo anno di vita
video installazione di William Kentridge "More sweetly play the dance" |
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