martedì 3 novembre 2015

Questa non è una Notizia. di Rebecca di Santo

Ho taciuto perché mi sono vergognata.
Io che amo le parole ho avuto bisogno di scavare, di cercare. Di sentire l'odore che sale dalla strada e dal vento. E dal sangue.
Sì, ho sentito l'odore del sangue, quello che non ammette riparo. Che ha il sapore della dittatura e della morte. 
Ma, come già sostenne Primo Levi, le parole già in uso non bastano.
Forse la parola è: "sgomento". È quello che ho sentito salire fra diaframma e militanza.
Se dovesse esserci il racconto sarebbe quello di una lama che recida di netto, in un solo pienissimo istante, l'attaccatura fra la vita e la vita e ne faccia morte. Lo spazio aderente fra tutto ciò che era vita, si capovolge e si diviene morte.
Quello spazio viene reso immagini (poi), dolore (poi), pericolo (poi).
Prima c'è innocenza e indipendenza.
Ma non l'innocenza di un astratto essere puro; nelle immagini del girotondo dei ragazzi alla manifestazione di Ankara del 10 ottobre di questo beato anno dei Signore (poi) l'innocenza è quella semplice di chi sorride e si muove e crede di essere padrone della sua vita.

Non arriva una nota di stampa,
arriva uno squarcio netto nella laica Turchia.
In quel lasso di futuro riconquistato dalle ortiche.

Una pietra che spacca il setto nasale.
Arriva un'onda di detriti sulla schiena.
E porta via.

Non so se ci sarà mai una narrazione capace di dire.
Non lo so.
Sangue sui volti dei sopravvissuti. Sangue e macerie di corpi. 
Penso sempre che solo in Prima Linea si possa vedere la realtà, solo a dorso nudo si può sentire il colpo della storia.
Ebbene, quella piazza, quelle strade per me sono state questo.
Mani che tengono lacrime, bandiere che coprono morte.
La vita non ce la può fare al cospetto dell'orrore: deve ritrarsi e sparire.

La Turchia.

Vivo come necessaria la conta dei secondi che trascorriamo a vivere in questa forma.
Altro non c'è.

Se non momenti e rari accenni di consapevolezza.

R.I.P.


Ankara, 10 ottobre 2015


Hanno rimandato a casa
le loro spoglie nelle bandiere
legate strette perché sembrassero intere.
Fabrizio de Andrè

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