domenica 22 ottobre 2017

Donatella Colasanti. "Non solo Strage del Circeo"

La storia più recente ci racconta di molti episodi di violenza sessuale.
Dal settembre del 1975 si aprono, con sanguinose grida, le porte dell'orrore:
è il massacro del Circeo il cui racconto e le cui immagini hanno fatto da sfondo all'immaginario di più generazioni.


Donatella Colasanti, 17 anni, la sera del la sera del 30 settembre 1975.
Viva,
Grida e e per questo attira l'attenzione, così
aprono il bagagliaio della 127, in via Paola, quartiere Trieste.
Donatella è viva.
Rosaria Lopez è lì, al suo fianco, morta.


Sono quelli gli anni del femminismo.
La possibilità di vedere il documentario "Processo per stupro" che riporta ampi stralci del processo per la violenza subita da Fiorella, mi spinge a provare a chiudere un cerchio (che poi si rivela già nel pensiero una spirale e nient'affatto un cerchio).
Quello fu il primo processo a porte aperte nella storia italiana. youtube.Processo per Stupro
Ciò che si può osservare nelle dinamiche di quel procedimento è che il processo mette sotto accusa la vittima.
Le sue abitudini, il perché uscisse la sera, fino alle domande più estreme.
Il teorema è semplice:
la donna (anzi, la femmina) se non sta tranquilla, a casa, in disparte, è automaticamente considerata colpevole o, quanto meno, complice.
Valeva nel 1975 e vale oggi. Un avvocato si permetteva di dire che se Fiorella fosse stata vicino al caminetto non avrebbe vissuto ciò che invece è stato.
Oggi invece che si dice?
Ah sì, si dice che un'aspirante attrice, in fin dei conti, sa cosa le spetta.
Si dice che, un'aspirante attrice, sa cosa può toccarle.
Com'è che si dice? "Fijo de 'na ballerina", figlio di una donna di spettacolo, che equivale a dire figlio di una prostituta.
Quindi cosa cercano queste donne? Attrici, attricette, soubrette?
Cosa cercano?
E cosa cercava Fiorella?


Donatella Colasanti, 17 anni, la sera del 30 settembre 1975.
Viva,
Grida e e per questo attira l'attenzione, così 
aprono il bagagliaio della 127, in via Paola, quartiere Trieste.
Donatella è viva.
Rosaria Lopez è lì, al suo fianco, morta.


E cosa cercava Donatella Colasanti? Una ragazza di borgata di fronte a tre figli della Roma bene, la Roma dei Parioli.
In effetti Donatella Colasanti non cercava proprio niente, come ha dimostrato la sua storia a seguire. Sì perché, Donatella, è sopravvissuta.
Donatella Colasanti è sopravvissuta a 36 ore di torture da parte di tre ragazzotti esaltati che avevano confuso i soldi con il potere e il potere con la sopraffazione della vita altrui: Andrea Ghira, Gianni Guido e Angelo Izzo.
Potete cercare i loro nomi, uno per uno, e scoprire quale megalomania li ha fatti sentire così potenti da torturare due ragazze. Quale ottuso delirio di potenza.
Rosaria Lopez morì, l'annegarono nell'acqua di una vasca da bagno, dopo minacce, sevizie e stupri.
Donatella sopravvisse. Dopo minacce, sevizie e stupri. 
Sopravvisse fingendosi morta a fianco del corpo dell'amica. 
Sopravvisse chiusa nel bagagliaio di una macchina.
Le foto del momento del ritrovamento sono così chiare da raccontare ben oltre i dati raccolti nei processi, nelle interviste e in tutte le dichiarazioni.
Donatella Colasanti però non è una vittima quieta. È, anzi, una vittima autonoma.


Donatella Colasanti.
Roma, 12 maggio 1958
Roma, 30 dicembre 2005


Questo per due motivi:
uno perché ha un suo pensiero;
due perché ha un'idea molto chiara della sua vita. 
Quando Enzo Biagi la intervistò, Donatella non subì la prepotenza del giornalista affermato, dinanzi a le il 'maschio' Biagi prova, in tutta evidenza, il fastidio di avere dinanzi una donna non banale. Il 'maschio' Biagi si fa aggressivo e sprezzante Non gradisce che una vittima, per di più donna, non si comporti da vittima. Non gradisce che una vittima non sia accondiscendente e non sia (ancora una volta) remissiva. youtube.Colasanti Biagi
Donatella Colasanti ha sentito il fiato della morte e, alla morte, è sopravvissuta: a chi altro deve chinarsi?
A quale altro uomo deve dire sì?
A nessuno.




E questo non è ammissibile per una cultura che ancora oggi dice che, in fin dei conti, quell'attricetta era accondiscendente e, intanto, non si domanda, come mai quel porco abbia approfittato del suo ruolo per farsi dire di da molte donne.
Chiedetevi questo, chiedetevi come mai il potere abbia bisogno del potere per ottenere favori che, diversamente, potrebbero essere sintonia di desiderio e di piacere e che richiedono ben altro investimento e vera reciprocità.

Per questo l'intervista durante un'intervista, Donatella Colasanti alla domanda "A conti fatti è una donna felice?" risponde:
«E come potrei non esserlo? Sono una miracolata e ogni giorno devo ringraziare Dio per avermi salvata. Quelli come me hanno il dovere di essere felici!».
Una donna consapevole del suo essere diviene una donna imbattibile.
La Colasanti scriverà poesie, salirà sul palco dei teatri come attrice e non si comporterà mai come una triste vittima. 
La verità è che coloro che vanno giudicati sono gli stupratori. Coloro che vanno giudicati sono coloro che muovono violenza contro una donna fino a violentarla, fino a ucciderla.
Così oggi, quando in molte muovono accuse contro Weinstein, il mondo delle persone piccole, il mondo di chi ancora è convinto che per interrompere la violenza di chi ti mette il suo pene in bocca sia sufficiente un "morsetto".
Sì queste sono le parole che usò l'avvocato Giorgio Zeppieri, avvocato difensore, nella sua arringa al Processo di cui raccontavo, eccole per intero:


Signori miei, una violenza carnale con fellatio può essere interrotta con un morsetto. L'atto è incompatibile con l'ipotesi di una violenza. Tutti e quattro avrebbero incautamente abbandonato nella bocca della loro vittima il membro, parte che per antonomasia viene definita delicata dell'uomo. E su cui, mi si consenta, il coito orale si compie con una funzione che è tecnicamente qualificata, e che esprime una serie di atti voluti. Eh sì mi posso abbandonare, ma io lì non mi abbandono, sono io che posseggo. Lì il possesso è stato esercitato dalla ragazza sui maschi, dalla femmina sui maschi. È lei che prende, è lei che è parte attiva, sono loro passivi, inermi, abbandonati, nelle fauci avide di costei!

E in che mondo siamo ora? Nel mediocre mondo di chi preferisce lo status quo alla messa in discussione delle tacite regole, dice che nel terrore di uno stupro sarebbe sufficiente mordere per porre fine alla violenza.
Sarebbe sufficiente non uscire di sera.
Sarebbe sufficiente evitare di uscire da sola con un ragazzo.
Ebbene io dico questo:
sarebbe sufficiente educare questi giovani uomini all'ascolto.
Sarebbe sufficiente educare all'abbraccio.
Sarebbe sufficiente pensare che la sessualità è desiderata da entrambi i sessi ma, per essere vissuta fino in fondo, dovrebbe essere reciproca, consensuale, felice.
Così non è per molte donne e per molti uomini.




L'arringa dell'avvocato Tina Lagostena Bassi, difensore di parte civile, cercherà di mettere in luce proprio l'evidenza dell'errore di prospettiva che in quell'aula si perpetrava:

[...] nessuno di noi avvocati si sognerebbe d'impostare una difesa per rapina come s'imposta un processo per violenza carnale. Nessuno degli avvocati direbbe nel caso di quattro rapinatori che con la violenza entrano in una gioielleria e portano via le gioie, i beni patrimoniali da difendere, ebbene nessun avvocato si sognerebbe di cominciare la difesa [...] dicendo «Vabbè, dite che però il gioielliere ha un passato poco chiaro, dite che il gioielliere in fondo ha ricettato, ha commesso reati di ricettazione, dite che il gioielliere è un usuraio, che specula, che guadagna, che evade le tasse!»

Ecco, nessuno si sognerebbe di fare una difesa di questo genere, infangando la parte lesa soltanto.
Allora io mi chiedo, perché se invece che quattro oggetti d'oro, l'oggetto del reato è una donna in carne ed ossa, perché ci si permette di fare un processo alla ragazza? E questa è una prassi costante: il processo alla donna. 
La vera imputata è la donna. 
E scusatemi la franchezza, se si fa così, è solidarietà maschilista, perché solo se la donna viene trasformata in un'imputata, solo così si ottiene che non si facciano denunce per violenza carnale. Io non voglio parlare di Fiorella, secondo me è umiliare venire qui a dire «non è una puttana». Una donna ha il diritto di essere quello che vuole, senza bisogno di difensori. 
Io non sono il difensore della donna Fiorella. Io sono l'accusatore di un certo modo di fare processi per violenza.



Guardare quel documentario è utile perché, ancora oggi, proprio come nel processo del 1978, si dibatte sulle vittime e non sugli stupratori.
Ecco (perdonaci Donatella), siamo ancora lì.

A seguire l'intervista di Donatella Colasanti per Donna Moderna, era il 2005, a dicembre dello stesso anno Donatella morirà.

«È morta una ragazzina» sibila Donatella. «Qualcuno dovrà pagare per aver aperto le porte del carcere al suo assassino».
Cos'ha pensato quando ha letto del delitto di Campobasso?
«Ho ricevuto la notizia dall'Ansa. Mi sembrava impossibile. Non sapevo che avessero concesso la semilibertà a Izzo, uno che nel 1993 era pure evaso. E poi, nel luglio del 2003, al ministero di Grazia e Giustizia avevano promesso di comunicarmi qualsiasi decisione, permessi premio inclusi, che lo riguardasse. E invece l'ho appreso dai giornali. Ma ora basta: i responsabili dovranno essere puniti. Io non mi arrendo fino a quando non avrò avuto giustizia. Se necessario, mi rivolgerò anche al tribunale internazionale dell'Aia».
Con chi ce l'ha in particolare?
«L'elenco è lungo. Ma in testa metto Pierluigi Vigna, procuratore nazionale antimafia. È lui che ha dato credito a Izzo come collaboratore di giustizia. Cos'avrebbe mai potuto rivelare quel balordo assassino della strage di Piazza Fontana o dei processi su Andreotti?».
Ma questo che c'entra con il delitto di Campobasso?
«C'entra eccome! Come collaboratore, Izzo ha goduto di trattamenti particolari, ha dato l'impressione di essersi ravveduto, ha conosciuto altri pentiti, come il padre della ragazzina uccisa. Se non l'avesse incontrato, forse la bambina sarebbe ancora viva».
Angelo Izzo è lo straordinario simulatore di cui si parla oggi? Uno in grado di far credere a tutti di essere un uomo cambiato?
«Di straordinario c'è solo l'incapacità di chi doveva tenerlo sotto controllo. A Izzo è stato concesso l'incredibile: dal 1995 al 2003 è apparso più volte in televisione e sui giornali, affermando di aver commesso altri omicidi, rapine, sequestri di persona, prima del 1975 e cioè prima del massacro del Circeo. Nessuno, che io sappia, ha indagato su quelle rivelazioni. Gli hanno permesso di sbandierare il suo losco passato davanti al pubblico televisivo e sulle pagine dei quotidiani. Così, per il gusto dello scoop».
Secondo lei è un pazzo mitomane?
«Smettiamola con la storia del pazzo. Izzo non è un mostro vittima della follia. È qualcosa di peggio. Gli piace uccidere e gli piacciono i soldi. È uno che rifiuta di scontare la pena, che vorrebbe stare in galera come in albergo. Un mostro non si comporta così. Chi uccide perché è malato vuole pagare per i propri crimini, si pente, chiede addirittura di essere giustiziato. Izzo, no. È arrogante, fa male agli altri, non chiede mai scusa. È un assassino e basta».
La prima volta che l'ha incontrato, nel 1975, cos'ha pensato?
«Sembrava un bravo ragazzo. Parlava di musica classica, per farci buona impressione. Rosaria e io avevamo solo 17 anni! Ci ha invitate a una festa da ballo, dicendo che ci sarebbero stati ragazzi e ragazze, compagni di scuola. Per me la parola "scuola" fu una garanzia. Avevo visto Izzo e altri suoi amici diverse volte. Così per prendere un gelato. Quindi mi sono fidata».
Invece quella festa non c'è mai stata.
«Quando siamo arrivate nella villa del Circeo, ci hanno fatte subito entrare in casa. Ci hanno puntato una pistola contro, sghignazzando: "Ecco la festa!". Poi ci hanno chiuso in un bagno minuscolo, senz'aria. Ci hanno spogliate, tolto gli anelli, i documenti, tutto quello che avrebbe potuto renderci identificabili. Sapevano benissimo cosa stavano facendo. Era tutto preparato. I sacchi in cui ci avrebbero messe, da morte, ce li hanno mostrati subito. È stato terribile».
Izzo come si comportava?
«Voleva essere protagonista, al centro dell'attenzione. Ripeteva in continuazione che lui era capace di uccidere, sosteneva di far parte della banda dei marsigliesi, di essere molto amico di Jacques Berenguer, il capo. Anzi, era proprio per ordine del boss che ci aveva catturate. Diceva che ci avrebbe ammazzate. L'ora e il modo non erano stati decisi, ma dovevamo morire. "Da qui non uscirete vive" diceva con il suo sorrisetto malvagio. Recitava un copione».
Odiava le donne?
«Gli esseri umani, direi. Ce l'aveva con tutti. Si entusiasmava all'idea di sequestri e rapine. Era un balordo viziato, che voleva diventare qualcuno. Gli piaceva esercitare un potere assoluto su un'altra persona. Ma senza i suoi amici non ce l'avrebbe fatta. Ha sempre bisogno di complici, di qualcuno che gli faccia da sponda, lui».
Lei come ha fatto a salvarsi?
«A un certo punto ci hanno divise. Rosaria l'hanno portata nel bagno di sopra. Poi sono tornati da me. Ho capito che l'unica, minuscola, speranza che mi rimaneva era fingermi morta. Gianni Guido mi aveva fatto sdraiare per terra, mi aveva messo un piede sul petto e legato una cinghia attorno al collo. Ha tirato così forte che alla fine la fibbia si è rotta. Allora ha cominciato a infierire con la spranga e con i calci in testa».
Quindi non è stato Izzo a colpirla?
«No, Izzo si esaltava nel dare ordini. Provava gusto nel vedermi soffrire. A un certo punto, ho sentito una voce che diceva: "Questa non muore mai!". Allora ho deciso di stare immobile, come un animale paralizzato di fronte al pericolo. Sono rimasta così ferma che Izzo e gli altri due hanno pensato di avermi uccisa. Mi colpivano e io non fiatavo: una morta non prova dolore».
Poi l'hanno messa nel bagagliaio della macchina?
«Sì, assieme a Rosaria, che avevano annegato nella vasca da bagno, al piano di sopra. Ricordo che durante il viaggio verso Roma scherzavano: "Silenzio! Qui ci sono due morte". E nel mangianastri avevano messo la colonna sonora dell'Esorcista. Per fortuna, arrivati a Roma, hanno parcheggiato la macchina. Volevano andare a cena prima di disfarsi dei nostri corpi. Quando non li ho più sentiti, ho cominciato a urlare con il poco fiato che mi era rimasto».
Quando ha rivisto i suoi aguzzini?
«Una ventina di giorni dopo. Izzo e Guido in manette. Nella villa del Circeo, per un confronto. Ghira era già latitante».
Cos'ha provato?
«Niente. Credo di essermi gettata tutto alle spalle nel momento stesso in cui ho capito di essere salva».
Come si è comportato Izzo durante il processo nel 1976 a Latina?
«Aveva perso l'aria spavalda. Anzi, aveva paura. Tutte quelle donne, le femministe, dalla mia parte. La gente arrabbiata lo spaventava. Scappava via, non riusciva a rimanere in udienza per più di un'ora».
Ha letto che i suoi genitori, dopo il delitto di Campobasso, non ne vogliono più sapere di lui?
«Figurarsi! Un po' tardi per pentirsi. L'hanno sempre aiutato. Se non altro, lo hanno riempito di soldi e questo gli ha dato molta sicurezza».
Com'è cambiata la vita di Donatella Colasanti dopo il 29 settembre 1975?
«Ho sempre amato le cose belle, la musica. Quello che è successo non ha intaccato questa passione. Anzi, oltre al lavoro alla Regione, ho sempre coltivato un'attività di artista:  ho scritto poesie, ho recitato in teatro. Ma negli ultimi anni ho dovuto sospendere per dedicarmi alle mie battaglie giudiziarie».
Ha paura degli uomini?
«No, ma ho preferito stare sola, essere autonoma, come molte altre donne della mia generazione. Non ho sofferto per il fatto di non avere un marito, dei figli. Anche perché, me lo sento, nel prossimo anno e mezzo mi farò una famiglia tutta mia».
Non c'è stato nessun grande amore?
«Uno solo, molto spirituale. Poi lui è dovuto partire, per lavoro. Ma non voglio dire di più, è un mio segreto».
A conti fatti è una donna felice?
«E come potrei non esserlo? Sono una miracolata e ogni giorno devo ringraziare Dio per avermi salvata. Quelli come me hanno il dovere di essere felici!».
Riesce mai a guardare un thriller in televisione?
«Sì, i film gialli li vedo. E ogni volta penso: potrebbe essere vero, io l'ho vissuto. Ma guardo i thriller soprattutto perché mi piacciono i giudici americani, così combattivi nella ricerca della verità. Qui invece...».
Ma in fondo un po' di giustizia l'ha avuta. Il Tribunale di Latina ha emesso tre ergastoli.

«È vero, ma si trattava di una Corte d'Assise. A decidere era una giuria popolare, gente come me, come lei. E poi c'ero io a testimoniare. Per un mese non ho mancato mai un'udienza. Ho affrontato un processo a porte aperte. Ricordo l'avvocato di Izzo che diceva: "I tre giovani non volevano uccidere la Colasanti. L'hanno colpita in testa ma non è uscito neanche un po' di cervello". Io gli ho urlato: "Zitto! Non si permetta di parlare così". Avevo solo 18 anni, ma non mi sono fatta intimorire. Figurarsi se mi imbavagliano adesso!».



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