sabato 29 agosto 2015

po-e-sì-a: dal lat. pŏēsis, che è dal gr. ποίησις, der. di ποιέω «fare, produrre». con Warsan Shire. 2



Domande a Miriam

Ti sei mai sentita sola?
lLhai detto alla gente che le canzoni
non hanno mai lo stesso tepore di un corpo o di una bocca morbida?
Come hai fatto a negarti ai ragazzi
che piangevano fuori dalle tue camere d’albergo?
Hai ascoltato le canzoni che scrivevano?
La bocca sanguinante di lodi per una donna come te
Miriam, li hai visti tenere una bottiglia per il collo
i peli ritti sulle braccia mentre le tue note si libravano
sulle loro teste? In quali sudici locali hai fatto gavetta
i mariti di chi hai amato agli inizi ?
Miriam lo sapevi delle ragazzine che cantavano, la bocca contro il pugno
per imitare il tuo splendore?
Lo sapevano loro che tu eri solo un essere umano?

Com’è cambiato il sapore delle tue canzoni quando è morta tua figlia?
Seppellirla è stato per te come una township in fiamme nel tuo stomaco?
Come hai fatto a tener lontano dalla tua faccia i segni del dolore?
Perché le consonanti cliccate della tua lingua non sono diventati ululati?
I miei genitori hanno suonato la tua musica al loro
matrimonio ti chiamavano Makeba, mai Miriam,
mai la confidenza del nome, sempre cantante
mai moglie mai figlia mai madre
mai amante che soffre
Glielo hai detto alla gente che le canzoni non erano la
stessa cosa del tepore di un corpo o di una bocca morbida?
Miriam ho sentito gente mormorare il tuo nome come una preghiera
supplicare dio con la voce in falsetto, eri una città esiliata dalla pelle
la tua bocca una chiesa in fiamme, il mio corpo l’ho diviso
in quartieri, infiammandomi la gola di rivolte
le tue canzoni hanno nutrito donne che morivano di fame, Miriam
hanno acquietato il bisogno di odiare il mio corpo
Dimmi chi ti ha fatto tacere con un bacio?
Chi ti ha tirato fuori le canzoni dallo stomaco con un gemito?
Hai mai sputato sangue?
Te ne sei mai stata zitta per giorni?
Ci sono stati mesi in cui tuo marito
si è angosciato/addolorato per la tua voce? Le hai mai odiate
quelle braccia che si alzavano dalla folla?? Noi, ci hai mai odiato,
Gli spiritelli nel pubblico?
Le bambine dervishe nei loro
piccoli salotti, con gli strofinacci legati sulla testa, volteggianti
come se la vita stessa dipendesse da quel moto.
Ti abbiamo chiesto troppo?
Il nostro amore ti ha reso difficile cantare?
Riempiva forse l’aria
arena ansimante di migliaia di persone
che assaporavano il sale dell’amante attraverso te
C’è forse un uomo da qualche parte che cammina
con la barba aggrumata di sangue rappreso di un tuo polmone?
Ti sei mai palpata il corpo per vedere se ti mancava qualche arto dopo un
concerto solo per scoprire nel tuo torso una cattedrale di costole?
Hai mai scritto elegie ubriache al tuo cuore?
Te ne sei vergognata troppo per cantarcele?
La tua forza era forse una vetrina di staccato e tonalità?
Hai mai urlato a pancia all’aria, in camere d’affitto, la valigia aperta
l’aria pesante di fumo di sigaro e rose?

Oh, Miriam ti abbiamo fatto cantare al tuo funerale
quella canzone è stata più calda di un corpo, ti sei sentita
più sola di chi singhiozzava sulle tue cassette
potrai mai perdonarci se vogliamo ancora
farci accompagnare dalla tua voce, ai nostri funerali

Miriam Makeba


Warsan Shire













- traduzione di Pina Piccolo



po-e-sì-a: dal lat. pŏēsis, che è dal gr. ποίησις, der. di ποιέω «fare, produrre». con Warsan Shire. 1



Quella notte poi
di Warsan Shire

Quella notte poi 
appoggiai al mio ventre un grande atlante
con le dita corsi attraversando tutto il mondo
e chiesi sottovoce
dove ti fa male?

mi rispose
ovunque
ovunque
ovunque



Warsan Shire


















- traduzione di Fernanda Ferraresso










Last night

Last night
i held an atlas in my lap
ran my fingers across the whole world
and whispered
where does it hurt?

it answered
everywhere
everywhere
everywhere



Warsan Shire è nata in Kenya nel 1988.
I suoi genitori si trovarono costretti a lasciare la loro terra, la Somalia, ancor prima della sua nascita.
Prestissimo tutta la famiglia si trasferì in Inghilterra, Londra, ed è lì che Warsan Shire cresce.
Il nonno, Cabdulqaadir Xirsi Siyaad "Yamyam", è stato un Poeta che ha cantato la Somalia, fortemente.
Sua  la poesia "Soomaali baan ahay" / "Io sono un somalo", di cui non ho ancora rintracciato il testo, ma non dispero.

Rebecca Arcobaleno







mercoledì 26 agosto 2015

BENVENUTI nel PARCO delle PERPLESSITÀ

Mappa del... Parco delle Meraviglie...

Il Parco di Banksy ha chiuso, come da programma, il 27 settembre.
È stato un successo, più di quanto la stampa internazionale, e le strutture ricettive, potessero aspettarsi.
Prenotazioni da tutto il mondo, per passare una giornata nel Parco della Fatiscenza. 
Nel Parco del Disincanto, dello Squallore, della Desolazione.
Alla domanda <<...e chi mai sceglierebbe deliberatamente di andare a "vedere" un Parco dell'Angoscia contemporanea?>> hanno risposto i fatti. Di certo è un Parco dell'Arte, di Arte disturbante, ma è anche un'ottima sintesi di tutto ciò che stride del nostro tempo.

Luogo di dissenso manifesto.
Un paio di giorni prima della chiusura vi hanno suonato le Pussy Riot, con una messinscena di false-guardie a manganellare un po' tutti.

Ora Banksy ha annunciato la destinazione delle 58 installazioni del "suo" Parco: Calais, in Francia, nel campo per rifugiati conosciuto con nome di Jungle.
Quale luogo migliore?
Questo campo infatti non è un campo organizzato, nasce dal bisogno, nasce dall'effettiva presenza di migliaia di persone che "da qualche parte" devono poter sostare.

E per questo 'Jungle', la Giungla di Umanità.
I materiali delle installazioni - ferro, legno, infissi -, andranno a integrarsi in ciò che è già presente nel campo profughi.
Un campo dove non ci sono "regole".
Jungle.

Jungle come appare nel sito  http://dismaland.co.uk/ con al dicitura:
“Coming soon… Dismaland Calais. Tutto il legno e gli infissi di Dismaland saranno inviati al campo rifugiati Jungle vicino Calais, per costruire rifugi.
Nessun 
biglietto sarà disponibile online”.


Così si annunciava Dismaland, 26 agosto 2015.
«Siete alla ricerca di un'alternativa alla tipica giornata in famiglia senz'anima, banale e zuccherosa?
O semplicemente cercate un posto economico?
Allora questo è il posto che fa per voi: un nuovo mondo caotico in cui sfuggire all'evasione senza senso.»

"All’ingresso una finta poliziotta mi chiede se ho bombe, esplosivi di qualsiasi tipo, granate, pistole o mitragliatrici. Rispondo di no. “Get in, then!”, mi dice sgarbata, invitandomi a passare sotto un metal detector di cartone. Il personale all’interno è triste e infastidito, indossa orecchie nere da Topolino e una pettorina fucsia con la scritta DISMAL (deprimente) sulla schiena." (Matteo Bordone)

Banksy è un osservatore critico di questo mondo. 
La sua Arte di Strada ci racconta e ci deride con grandissima ironia, con cinismo e con feroce tristezza.
Tutto il mondo lo conosce, eppure nessuno sa chi sia.
È un mago del Rovesciamento che guarda alla contemporaneità senza veli e senza nessuna voglia di orpelli. Vuole farci male, perché le menzogne che ci raccontiamo sono davvero troppe.

"Il teatro delle marionette di Punch e Judy mette in scena uno spettacolino scritto da Julie Burchill sul tema della violenza: vedere il pupazzetto che mena e violenta la compagna e sentire le cose che le dice non è proprio una passeggiata." (Matteo Bordone)


NON È ARTE SE NON HA IL POTENZIALE PER ESSERE UN DISASTRO.
indicazione informativa situata nel Parco.
Sono di Banksy alcune opere sul Muro della Vergogna che Israele ha voluto, nell'intento di chiudere i palestinesi al di là della storia.Sua la silhouette della bimba cui vanno via dalle mani dei palloncini rossi. 
                                          






Ora ha aperto, chiamando attorno a sé altri artisti, un parco tematico che sbeffeggia quei parchi tematici sparsi in tutto il mondo.  
Questo parco si chiama DISMALAND.

"L’operazione è impeccabile per quello che è, com’è, dov’è." (Matteo Bordone)


Veduta aerea del Parco



Sarà aperto per circa un mese ed è nel sud dell'Inghilterra.
Ingresso per 3 sterline.



In tutto sono 58 le installazioni, di cui 10 sono di Banksy.




DISMAL vuole dire lugubre, squallido, malinconico. 
quindi benvenuti 
nel PARCO del LUGUBRE SQUALLORE!



un bellissimo articolo di Matteo Bordone
http://www.internazionale.it/weekend/2015/09/06/un-giorno-a-dismaland


http://banksy.co.uk/

il sito e le informazioni per i biglietti
http://www.dismaland.co.uk/artists/


gli artisti presenti:
Andrea Hykade (Bavaria)
Amir Schiby (Israele)
Axel Void (USA)
Banksy (Regno Unito)
Barry Reigate (Regno Unito)
Ben Long (USA)
Bill Barminski (USA)
Block9 (Regno Unito)
Brock Davis (USA)
Caitlin Cherry (USA)
Caroline McCarthy (Regno Unito)
Damien Hirst (Regno Unito)
Darren Cullen (Regno Unito)
David Shrigley (Regno Unito)
Dorcas Casey (Regno Unito)
Dietrich Wegner (USA)
Ed Hall (Regno Unito)
El Teneen (Egitto)
Escif (Spagna)
Espo (USA)
Fares Cachoux (Siria)
Greg Haberny (USA)
Huda Beydoun (Arabia Saudita)
James Joyce (Regno Unito)
Jeff Gillette (USA)
Jenny Holzer (USA)
Jessica Harrison (Regno Unito)
Jimmy Cauty (Regno Unito)
Joanna Pollonais (Canada)
Josh Keyes (USA)
Julie Burchill (Regno Unito)
Kate McDowell (USA)
Laura Lancaster (Regno Unito)
Lee Madgwick (Regno Unito)
Leigh Mulley (Regno Unito)
Lush (Australia)
Mana Neyestani (Iran)
Maskull Laserre (Canada)
Michael Beitz (USA)
Mike Ross (USA)
Neta Harari Navon (Israele)
Nettie Wakefield (Regno Unito)
Paco Pomet (Spagna)
Paul Insect & BAST (Regno Unito/USA)
Peter Kennard & Cat Phillips (Regno Unito)
Polly Morgan (Regno Unito)
Pure Evil (Regno Unito)
Ronit Baranga (Israele)
Sami Musa (Palestina)
Scott Hove (USA)
Severija Inčirauskaite-Kriaunevičiene (Lituania)
Shadi Alzaqzouq (Palestina)
Suliman Mansour (Palestina)
Tammam Azzam (Siria)
The Astronauts' Caravan (Regno Unito)
Tinsel Edwards (Regno Unito)
Wasted Rita (Portogallo)
Zaria Forman (USA)

sabato 22 agosto 2015

Un'Antropologa senza Antropologia. di Rebecca di Santo


Intellettuali d'oggi
idioti di domani
ridatemi il cervello
che basta alle mie mani.
Profeti molto acrobati
della rivoluzione
oggi farò da me
senza lezione.
Fabrizio de André, Il Bombarolo


Ho studiato. Ho studiato parecchio. Dovevo anche recuperare. Famiglia proletaria, studi professionali. E poi la scelta dell'Università.
Università degli Studi La Sapienza di Roma, Facoltà di Lettere e Filosofia.
Il mio piano di studi è stato, neanche a dirlo, molto personalizzato.
Da Filosofia della Scienza, a Letteratura Moderna, da Antropologia Culturale (in cui mi sono laureata) a Geografia.
Non ho affinato quelle basi che studi classici avrebbero reso fondamenta del mio sapere, ma ho curiosato, ho approfondito laddove non sapevo nemmeno di potermi affacciare.
L'amore pregno fra libri e appunti. Appuntamenti per gli esami, Biblioteche magiche e sigarette nelle pause studio.
Ho lavorato. Ho lavorato da subito. Iscrizione al primo anno e già a novembre il primo impegno lavorativo: commessa in un negozio di giocattoli e piccoli casalinghi. 
E da lì tutta la mia vita si è concentrata su lavoro e studio. 
Forse solo adesso mi sento fiera. Fiera di avere iniziato, fiera di aver durato e fiera di essermi laureata: "La sacralità della Natura e la sua frantumazione. Insidia e fascino della complessità".
Una bella testi sul sacro laico.
Poi un impegno col professor Vittorio Lanternari, io in qualità di editor di quello che è stato poi il suo penultimo libro, edito da Dedalo, "Econtropologia".
Vittorio Lanternari ed io, estate 2003. 
Editor e confidente di storie di cattedre universitarie, storie di tradimenti e amori, e soprattutto storie di viaggi, perché l'antropologo migliore è un affabulatore, il più fortunato è un viaggiatore, il più timorato è l'accademico. E Vittorio li ha passati in rassegna tutti, nomi e cognomi, vizi di forma e scarse teorie.

Non so se sono riuscita a fargli comprendere che non ero lì per caso. Io così calma e così in ascolto. La mia tesi di laurea, i miei interessi, così profondamente vicini al suo pensiero degli ultimi anni. L'ecoantropologia come lettura e svolta nel rapporto, rischiosamente univoco, fra cultura e natura. Una visione tale da mettere in primo piano la Responsabilità culturale dinanzi al Creato. 
Vittorio Lanternari, marxista, sguardo indipendente, riconosce la profanazione del pianeta Terra come profanazione, parimenti, dell'essere umano. È violato un legame di misteri e di scienza.

Andavo nel suo studio, nella sua casa, e ci passavo le ore. 
Lui alla scrivania, mani indurite dai reumatismi e ripetizioni a non finire, nei fogli che mi passava e sui quali dovevo lavorare, e nei ricordi.
Su tutti la moglie, amatissima. Che non c'era più.
La morte la nominava solo quando parlava di quella donna, altrimenti, da laico, non aveva da dire molto su quella sua, di uomo di ottantaquattro anni.
La morte era quella assenza onnipresente in una casa romana, assenza piena di legno e tracce. Spazi la cui vita si era ridotta, accerchiata fra letto e scrivania. 
Avrei preso tutti i suoi libri, mmi sarei portata via tutte le maschere, tutte quelle opere che dal Ghana e da altrove erano diventate sue. Le avrei prese perché rare e perché io, fra gli antropologi, sono una non-antropologa. Fra gli antropologi sono una fuoriuscita.
Le ultime fasi del lavoro con Vittorio sono state con il pancione. Davvero, andavo da lui con la gran pancia dei giorni prima di partorire.
Ero pronta per quel lavoro, ero pronta per quella relazione, ero pronta perché non avevo ambizioni antropologiche. Io, fra gli antropologi, sono una che ha lavorato con le mani anche quando era sui libri.
Mani a sottolineare, mani a memorizzare trascrivendo e riassumendo.
Mani a sfogliare.
Non sono antropologa proprio per questo, forse.

Vittorio è morto il 5 agosto del 2010, non lo vedevo da tempo.
Le ultime telefonate erano fatte di conversazioni confuse e facevano riferimento a persone e situazioni che io non conoscevo e che Vittorio forse credeva ancora presenti.

Rebecca





venerdì 21 agosto 2015

Give me a head. by Rebecca di Santo

photo by Mìla PreslovJust a head.
Suffice a head.
Suffice a head
and two hands.
Suffice a head
two hands
and a heart.
Just a head
two hands
and a heart
to embrace
Worlds.
Let's stop
to devour
the absence soundless
of
this world.

Rebecca di Santo

giovedì 20 agosto 2015

Dammi una Testa. di Rebecca di Santo

foto di Mìla Preslova
Basta una testa.
Basta una testa
e due mani.
Basta una testa
due mani
e un cuore.
Basta una testa
due mani
e un cuore
per andare ad abbracciare
Mondi.
Basta 
divorare 
la silenziosa assenza 
di questo Mondo.

Rebecca di Santo

https://www.facebook.com/events/1202425593116298/

mercoledì 19 agosto 2015

COME SCRIVERE d'AFRICA. di Binyavanga Wainaina (tutti gli stereotipi)

Nel titolo, usate sempre le parole “Africa”, “nero”, “safari”. Nel sottotitolo, inserite termini come “Zanzibar”, “masai”, “zulu”, “zambesi”, “Congo”, “Nilo”, “grande”, “cielo”, “ombra”, “tamburi”, “sole” o “antico passato”. Altre parole utili sono “guerriglia”, “senza tempo”, “primordiale” e “tribale”.
Mai mettere in copertina (ma neanche all’interno) la foto di un africano ben vestito e in salute, a meno che quell’africano non abbia vinto un Nobel. Usate, piuttosto, immagini di persone a torso nudo con costole in evidenza. Se proprio dovete ritrarre un africano, assicuratevi che indossi un abito tipico masai, zulu o dogon.
Nel testo, descrivete l’Africa come se fosse un paese caldo, polveroso con praterie ondulate, animali e piccoli, minuscoli esseri umani denutriti. Oppure caldo e umido, con popolazione di bassa statura che mangia scimmie. Non perdetevi in descrizioni accurate, l’Africa è grande: cinquantaquattro nazioni e novecento milioni di persone troppo impegnate a soffrire la fame, morire, combattere o emigrare per aver tempo di leggere il vostro libro.
Il continente è pieno di deserti, giungle, altipiani, savane e molti altri paesaggi, ma questo non interessa ai vostri lettori. Fate delle descrizioni romantiche, evocative, senza esagerare con i dettagli.
Ricordatevi di dire che gli africani hanno la musica e il ritmo nel sangue, e che mangiano cose che nessun altro uomo è in grado di mangiare. Non citate mai riso, carne e grano: preferite, tra i piatti tipici del continente nero, cervello di scimmia, capra, serpente, vermi, larve e ogni sorta di selvaggina. E ricordatevi anche di aggiungere che voi siete riusciti a mangiare questi cibi e anzi che avete imparato a farveli piacere.
Great African Tailor, Nairobi, by Henny Boogert

Soggetti vietati: scene di vita quotidiana, amore tra africani, riferimenti a scrittori o intellettuali, cenni a bambini scolarizzati che non soffrano di framboesia, Ebola o abbiano subìto mutilazioni genitali. Nel libro adottate un tono di voce sommesso e ammiccante con il lettore e un tono triste, alla “era esattamente quello che mi aspettavo”.
Chiarite subito che il vostro progressismo è senza macchia e dite quanto amate l’Africa e come vi sentite in armonia con quella terra e anzi, non potete viverne lontani. L’Africa è l’unico continente che si può amare: approfittatene! Se siete uomini, descrivete le torride foreste vergini. Se siete donne, parlate dell’Africa come di un uomo in giubbotto multitasche che sparisce nel tramonto. L’Africa è da compatire, adorare o dominare. Ma qualsiasi punto di vista scegliate, assicuratevi di dare l’impressione che senza il vostro intervento l’Africa sarebbe spacciata.
I vostri personaggi possono essere guerrieri nudi, servitori reali, indovini, sciamani e vecchi saggi che vivono in splendidi eremi. O ancora politici corrotti, guide turistiche incapaci e poligame o prostitute che avete frequentato. Il servitore reale deve avere l’atteggiamento di un bambino di sette anni, bisognoso di una guida, che teme i serpenti e vi trascina di continuo in oscuri complotti. Il vecchio saggio discenderà sempre da una nobile tribù, i suoi occhi saranno cisposi e lui sarà vicino al cuore della madre terra.
L’africano d’oggi è un grassone che lavora (e ruba) all’ufficio visti e nega permessi di lavoro agli esperti occidentali, che hanno davvero a cuore il bene del continente. È un nemico dello sviluppo, che ostacola gli africani buoni e competenti che vorrebbero creare organizzazioni non governative e riserve protette. Oppure è un intellettuale che ha studiato a Oxford ed è diventato un serial killer di politici in doppiopetto: è un cannibale a cui piace lo champagne di marca e sua madre è una ricca maga e guaritrice.
Non dimenticatevi di inserire nel libro la donna africana denutrita che vaga seminuda nel campo dei rifugiati aspettando la carità dell’occidente: i suoi figli hanno le mosche sugli occhi e gli ombelichi tondi e lei ha le mammelle vuote e cadenti. Deve sembrare bisognosa e non deve avere né un passato né una storia (qualsiasi digressione smorzerebbe la tensione drammatica).
Si deve lamentare ma non deve spendere una parola per sé, tranne i riferimenti alla sua sofferenza. Inserite anche una figura femminile materna e sollecita, dalla risata forte, che si occupa di voi e del vostro bene e chiamatela semplicemente Mama. I suoi figli saranno tutti delinquenti.
Tutti questi personaggi dovrebbero far da contorno al vostro eroe, aiutandolo a sembrare migliore. È lui che li può istruire, lavare, sfamare. Si occupa di moltissimi bambini e ha visto la morte. Il vostro eroe siete voi (se si tratta di un reportage), oppure un generoso aristocratico (o vip) straniero pieno di fascino tragico, che ormai si è dedicato ai diritti degli animali (se il vostro libro è di narrativa).
Tra i personaggi occidentali cattivi ci devono essere i figli dei ministri conservatori al governo, gli afrikaners, gli impiegati della Banca mondiale. Quando parlate dello sfruttamento esercitato dagli stranieri, citate i commercianti cinesi e indiani e, in generale, accusate l’occidente per la situazione del continente africano.
Cercate però di non entrare troppo nello specifico. I ritratti rapidi e approssimativi vanno benissimo. Evitate che gli africani ridano, o educhino i loro bambini, e non ritraeteli in circostanze frivole. Fategli dire qualcosa d’interessante sull’impegno europeo o statunitense nel continente. I personaggi africani dovrebbero essere pittoreschi, esotici, più grandi della vita, ma vuoti dentro, senza contrasti, conflitti e scelte nelle loro esistenze, nessuna profondità o desideri che confondano le idee.
Descrivete nel dettaglio i seni nudi, i genitali sottoposti a mutilazione e quelli di grosse dimensioni. E i cadaveri. O, meglio ancora, i cadaveri nudi. E soprattutto i cadaveri nudi in putrefazione. Ricordatevi: qualsiasi opera in cui la gente africana sembri miserevole e ripugnante sarà vista come l’Africa “vera”, ed è proprio questo che volete sulla copertina del vostro libro. Non fatevi troppi scrupoli in proposito: state cercando di aiutare il continente chiedendo aiuto agli occidentali.
Il massimo tabù quando si scrive di Africa è descrivere la sofferenza e la morte di un bianco. Anche gli animali devono essere ritratti in modo complesso e articolato. Parlano e hanno nomi, ambizioni e desideri. Sono anche bravi genitori: “Vedete come i leoni istruiscono i figli?”, gli elefanti sono altruisti, le femmine sono vere matriarche e i maschi dei dignitosi capibranco.
E lo stesso per i gorilla: non dite mai niente di negativo sugli elefanti o sui gorilla. Difendeteli sempre, anche quando invadono terre coltivate, distruggono raccolti e uccidono gli uomini. Descrivete i grandi felini con enfasi. Le iene invece sono un bersaglio consentito e devono avere un vago accento mediorientale.
Qualunque piccolo africano che viva nella giungla o nel deserto va descritto sempre di buon umore. Dopo gli attivisti vip e i volontari, in Africa le persone più importanti sono quelle che si battono per la tutela dell’ambiente. Non offendetele. Avete bisogno che v’invitino nelle loro riserve da diecimila metri quadrati, perché è l’unico modo a vostra disposizione per incontrare e intervistare gli attivisti vip.
Mettere in copertina l’immagine di uno (o una) che si batte per l’ambiente, con l’aria intrepida e lo sguardo ispirato, funziona benissimo in libreria e vi farà vendere un sacco. Chi può essere considerato così? Be’, qualsiasi bianco, abbronzato, con vestiti tinta kaki, che almeno una volta abbia accudito un antilope o possegga un ranch è uno (o una) che sta cercando di tutelare il ricco patrimonio naturale dell’Africa. Quando l’intervistate, non fate domande sul denaro; non chiedete quanti soldi ne ricava. Soprattutto, evitate qualsiasi riferimento alla paga che dà ai suoi lavoranti.
Se vi dimenticate di citare la luce africana, i vostri lettori rimarranno stupiti. E i tramonti. Il tramonto africano è d’obbligo. È sempre grande e rosso e il cielo è vastissimo. Gli enormi spazi aperti e gli animali da cacciare sono i punti focali. L’Africa è la terra degli enormi spazi aperti. Quando descrivete la flora e la fauna, ricordatevi di dire che l’Africa è sovrappopolata.
Invece, quando il vostro protagonista si trova nel deserto o nella giungla in mezzo agli indigeni è bene avvisare il lettore che l’Africa è stata spopolata dall’aids e dalla guerra. Vi servirà anche un nightclub chiamato Tropicana dove s’incontrano i mercenari, i malvagi parvenu indigeni, le prostitute, i guerriglieri e gli esuli. In ogni caso, chiudete il vostro libro con Nelson Mandela che dice qualcosa sugli arcobaleni e sulle speranze di rinascita. Perché voi ci tenete.

Binyavanga Wainaina è uno scrittore kenyota.