venerdì 14 agosto 2015

Ho dimenticato il nostro errore. di Rebecca di Santo

Lungo il viale è come se sentissi il clamore del mare fra i passi. È una finzione, il mare non c'è, sono le foglie degli aceri che fanno suonare l'aria.
Un leggero sciacquarsi di foglia contro foglia in questa Umbria asciutta.
E penso alle onde nelle orecchie di un ragazzo che si tiene a galla nel Mediterraneo, in attesa che il frastuono cessi e una mano, una corda, un salvagente lo faccio asciugare.
Sono donna di terra, di asfalto anzi. E per me il mare è una distesa poetica e furiosa, una scelta, mai obbligo e mai, finora, morte.
Tutto ciò che non viviamo è inconcepibile, eppure a me capita di sentire alcuni rumori che mi fanno essere presente anche laddove non sono mai stata.
Così per i colori.
Quella profondità scura del Mediterraneo che culla migliaia di uomini e donne, mi sembra di sentirla come legno vecchio infradiciato, mi sembra di sentire lo strazio della resa, quando il fiato non ce la fa e i crampi si vanno mangiando il presente. Ed è allora che rimango seduta qui, eppure vedo brillare le luci a pelo d'acqua. Non posso immaginare un mare spietato, ma di certo la nausea di chi sta lasciandoci la vita.
Il mare aperto è questo, luci e urla che non saranno viste e sentite. Il gommone che si allontana, floscio non può tenere più niente, fra poco si farà profondo anch'esso.
Non oppone resistenza.
E le migliaia di anime che sono affondate? L'ossessione è se senza nome e senza corpo, possa esserci la morte.
I gabbiani ne approfitteranno dal cielo e i pesci banchetteranno dall'acqua.
Il volo sbieco a spirale.
Perché racconto questo? Perché non so come altro sentire. Perché ciò che accade mentre io sono in vita mi spinge a cercare una sottilissima linea che mi congiunga a quel dolore.
E perché non ho più la politica a farmi da sponda.
Siamo sotto un terribile incantesimo che di certo, un domani, verrà narrato nei libri di mitologia.
Gli Dei continuano il loro lavoro, guardano dall'alto, si innamorano di qualche umano, castigano qualche intemperanza. Il nostro errore grave, è stato punito con questa forma di oblio, con il relativismo che ci rende ossessionati di niente.
Il nostro errore l'ho dimenticato; forse avere cancellato la morte? Forse aver barattato il mistero con un prosecchino?
Ed io non so come altro fare. Mi metto qui e sento.
E ricomincia il rollìo del barcone e ricomincio ad annegare.
Rebecca di Santo




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