Amore
mio, ti amo
Ugo se ne sta in fila. In fondo, alla cassa, la
lentezza frammista alle chiacchiere non lo agita. Non ha fretta. Nel carrello
un etto e mezzo di prosciutto cotto, gli gnocchetti Rana, tre banane, un succo
di frutta alla mela, uno ai frutti rossi, la mezza baguette e un piede di
cappuccina. Pranzo e cena entrano in una busta minuscola. Il latte in casa c’è,
anche il caffè. L’acqua del rubinetto va benissimo. Il vino solo raramente e
col cotto non sta bene, un’altra volta.
Intanto nel pomeriggio Serena viene per le
pulizie, c’è anche da stirare, chissà se può rimanere più a lungo.
- Buongiorno Ugo! L’hai preso il cotto Ferrarini
che è in offerta?
- Buongiorno, sì, grazie. Ne ho preso poco…
casomai domani lo riprendo.
- Sì, tanto l’offerta dura fino a martedì
prossimo.
- Grazie, grazie.
Due parole e il conto di Ugo è fatto.
- Sono 8 euro e 49.
E anche Ugo coltiva la lentezza, conta i suoi
spicci; lì al supermercato non ricordano di averlo mai visto con banconote più
grandi di quelle da 10 euro.
Con la sua bustina di plastica si allontana.
Un cenno di saluto alla ragazza nigeriana che
aspetta una mancia o una scatola di fagioli. Ugo le ha dato qualcosa solo
raramente, ma ricorda che quelle rare volte si è trattato di confezioni di
biscotti, i tarallucci o le macine del Mulino Bianco, sempre quando ci sono le
offerte.
Ora è sul marciapiede, che cammina pian piano
verso casa, neanche 500 metri di distanza.
Ripensa a quando andavano a fare la spesa al
mercato in piazza. Lui andava raramente, capitava soprattutto i giorni di
preparativi per il Natale e per il Capodanno. Quel ricordo ora gli fa sentire
un leggero pizzico nel petto, un brivido del cuore.
Arrivato al cancello del palazzetto si ferma a
riprendere fiato da quella malinconia, poi prende il portachiavi dalla tasca
della giacca, apre e inizia a salire, terzo piano senza ascensore. Al momento
dell’acquisto non avevano neanche pensato potesse essere un problema e invece
eccolo, ogni mezza rampa fermo a riprendere fiato.
Finalmente il terzo piano arriva. Il portachiavi
incastrato fra le dita e la busta. Si guarda un attimo l’indice e il medio
segnati dal peso portato, la fede che oramai non può più togliere perché le
ossa si sono ingrossate con i reumatismi. Il portachiavi passa nella mano destra,
ciondola consumata una piccola gondola del viaggio a Venezia, e, con la chiave
lunga, Ugo apre la porta; appena l’uscio si apre l’odore di casa subito lo
riscalda, che sia estate o inverno, lo accoglie sempre come un abbraccio
leggero.
D’estate fanno da padrona cipolle fresche e
tonno in scatola dall’olio sgocciolato al centro dello scolo del lavabo,
pomodori e basilico, pasta dal sughetto di san marzano e profumo di aglio.
L’inverno è dei cavoli, cime di rapa per la
pasta, verza con le salsicce per le reminiscenze del’esperienza tedesca, e poi
ragù cotti nella lentezza delle domenica mattina, uova in ogni forma.
E l’odore del caffè.
L’aroma del caffè è forse l’unico che non desta
la malinconia in Ugo ma, ancora e sempre, l’entusiasmo, l’attimo di brio che
reca energia al solo pensiero.
Entra in casa Ugo, la sportina di plastica sul
tavolo in formica.
Subito il prosciutto, l’insalata e gli
gnocchetti nel frigorifero. Il frigo non è pulitissimo, ma ordinato e luminoso.
Le banane le mette nel contenitore sul davanzale, i succhi di frutta nella
credenzina e la baguette nel portapane vicino alla radio.
Si sono fatte le dodici, ma non ha fame.
Seduto sul divano in velluto della sala, Ugo si
abbandona con la testa allo schienale. Con gli occhi chiusi lascia scivolare la
mano lungo il cuscino a fianco. La mano di Clara lo accoglie, un po’ fredde le
dita, ma accogliente il palmo. Ad occhi chiusi tutto vortica e si condensa nel
presente: il giorno del Sì, la notte in attesa che nel Ghetto il silenzio
tornasse, il viaggio a Venezia, il borbottìo delle bottiglie di conserva nei
bidoni sull’aia.
La vertigine di ricordi si chiude con gli occhi
di Clara serrati nel buio. A quella memoria Ugo reagisce di scatto e ritrae la
mano. Al suo fianco solo lo spazio gigante del divano. Il velluto verde,
segnato dagli anni, conserva con lui la memoria tangibile della storia che fu.
C’è silenzio in casa. Clara non tornerà. Eppure,
fra le dita di Ugo, la fede, datata 15 febbraio 1966, segna l’eternità del loro
incontro.
di Rebecca
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