Questa generazione si vendica di un furto, il furto della felicità.
Il suicidio è evento spiazzante per una cultura che interpreta la sacralità della vita come assenza di arbitrio, l'assenza di libertà di scegliere la morte come degna e onorevole.
Eppure con la morte volontaria (la mors voluntaria) non si offendono gli Dèi, semmai è la mancanza che consegue al lutto che offende chi ci ama, chi viene lasciato solo.
L'Occidente inizia a punire il suicidio nell'Alto Medioevo, verranno negate ai suicidi dapprima le esequie e poi la sepoltura in terra consacrata (al pari sarà scomunicato chi tenterà il suicidio ma non morirà).
Oggi facciamo fatica a riconoscere onore al suicida; abbiamo dei dettami che vogliano si attribuisca, in base all'età di chi si toglie la vita, un sentimento sociale corrispondente. Senza entrare nel merito di queste corrispondenze che vanno dallo sgomento, alla rabbia, dall'ostilità, alla pena, di certo dovremmo domandarci il senso che diamo, e che la società (intesa come cultura, intesa come assetto morale, intesa come assetto economico) dà, alla vita e alla morte.
Di fatto la lettera che ha lasciato Michele Valentini, il suo j'accuse, tutto chiede fuorché pietà.
Ci chiede uno sforzo enorme, lo sforzo di scrostare la patina sotto la quale viviamo.
La patina che ci fa spesso silenziosi. ossequiosi e ciò che striscia sotto è invece il vero motore delle dinamiche relazionali.
La lettura del testamento esistenziale di questo giovane uomo tocca corde tesissime che potrebbero essere un vero e proprio punto di partenza per chiedersi "a che punto siamo?", dove abbiamo ficcato il senso della nostra vita?
Michele ha scelto di finirla lì, nel suo spazio unico e insindacabile.
Dobbiamo prendere coscienza di ciò che ci dice perché ci riguarda, quale che sia la nostra posizione in questa società.
Michele Valentini, morto suicida a trent'anni, il 31 gennaio 2017.
Rebecca
Oggi facciamo fatica a riconoscere onore al suicida; abbiamo dei dettami che vogliano si attribuisca, in base all'età di chi si toglie la vita, un sentimento sociale corrispondente. Senza entrare nel merito di queste corrispondenze che vanno dallo sgomento, alla rabbia, dall'ostilità, alla pena, di certo dovremmo domandarci il senso che diamo, e che la società (intesa come cultura, intesa come assetto morale, intesa come assetto economico) dà, alla vita e alla morte.
Di fatto la lettera che ha lasciato Michele Valentini, il suo j'accuse, tutto chiede fuorché pietà.
Ci chiede uno sforzo enorme, lo sforzo di scrostare la patina sotto la quale viviamo.
La patina che ci fa spesso silenziosi. ossequiosi e ciò che striscia sotto è invece il vero motore delle dinamiche relazionali.
La lettura del testamento esistenziale di questo giovane uomo tocca corde tesissime che potrebbero essere un vero e proprio punto di partenza per chiedersi "a che punto siamo?", dove abbiamo ficcato il senso della nostra vita?
Michele ha scelto di finirla lì, nel suo spazio unico e insindacabile.
Dobbiamo prendere coscienza di ciò che ci dice perché ci riguarda, quale che sia la nostra posizione in questa società.
Michele Valentini, morto suicida a trent'anni, il 31 gennaio 2017.
Rebecca
Per suicidarsi bisogna amarsi molto.
Albert Camus
“Ho vissuto (male) per trent’anni, qualcuno dirà che è
troppo poco. Quel qualcuno non è in grado di stabilire quali sono i limiti di
sopportazione, perché sono soggettivi, non oggettivi. Ho cercato di essere una
brava persona, ho commesso molti errori, ho fatto molti tentativi, ho cercato
di darmi un senso e uno scopo usando le mie risorse, di fare del malessere
un’arte.
Ma le domande non finiscono mai, e io di sentirne sono
stufo. E sono stufo anche di pormene. Sono stufo di fare sforzi senza ottenere
risultati, stufo di critiche, stufo di colloqui di lavoro come grafico inutili,
stufo di sprecare sentimenti e desideri per l’altro genere (che evidentemente
non ha bisogno di me), stufo di invidiare, stufo di chiedermi cosa si prova a
vincere, di dover giustificare la mia esistenza senza averla determinata, stufo
di dover rispondere alle aspettative di tutti senza aver mai visto soddisfatte
le mie, stufo di fare buon viso a pessima sorte, di fingere interesse, di
illudermi, di essere preso in giro, di essere messo da parte e di sentirmi dire
che la sensibilità è una grande qualità.
Tutte balle. Se la sensibilità fosse davvero una grande
qualità, sarebbe oggetto di ricerca. Non lo è mai stata e mai lo sarà, perché
questa è la realtà sbagliata, è una dimensione dove conta la praticità che non
premia i talenti, le alternative, sbeffeggia le ambizioni, insulta i sogni e
qualunque cosa non si possa inquadrare nella cosiddetta normalità. Non la posso
riconoscere come mia. Da questa realtà non si può pretendere niente. Non si può
pretendere un lavoro, non si può pretendere di essere amati, non si possono
pretendere riconoscimenti, non si può pretendere di pretendere la sicurezza,
non si può pretendere un ambiente stabile.
A quest’ultimo proposito, le cose per voi si metteranno
talmente male che tra un po’ non potrete pretendere nemmeno cibo, elettricità o
acqua corrente, ma ovviamente non è più un mio problema. Il futuro sarà un
disastro a cui non voglio assistere, e nemmeno partecipare. Buona fortuna a chi
se la sente di affrontarlo. Non è assolutamente questo il mondo che mi doveva
essere consegnato, e nessuno mi può costringere a continuare a farne parte. È
un incubo di problemi, privo di identità, privo di garanzie, privo di punti di
riferimento, e privo ormai anche di prospettive.
Non ci sono le condizioni per impormi, e io non ho i poteri
o i mezzi per crearle. Non sono rappresentato da niente di ciò che vedo e non
gli attribuisco nessun senso: io non c’entro nulla con tutto questo. Non posso
passare la vita a combattere solo per sopravvivere, per avere lo spazio che
sarebbe dovuto, o quello che spetta di diritto, cercando di cavare il meglio
dal peggio che si sia mai visto per avere il minimo possibile. Io non me ne
faccio niente del minimo, volevo il massimo, ma il massimo non è a mia
disposizione. Di no come risposta non si vive, di no si muore, e non c’è mai
stato posto qui per ciò che volevo, quindi in realtà, non sono mai esistito. Io
non ho tradito, io mi sento tradito, da un’epoca che si permette di
accantonarmi, invece di accogliermi come sarebbe suo dovere fare.
Lo stato generale delle cose per me è inaccettabile, non
intendo più farmene carico e penso che sia giusto che ogni tanto qualcuno
ricordi a tutti che siamo liberi, che esiste l’alternativa al soffrire:
smettere. Se vivere non può essere un piacere, allora non può nemmeno diventare
un obbligo, e io l’ho dimostrato. Mi rendo conto di fare del male e di darvi un
enorme dolore, ma la mia rabbia ormai è tale che se non faccio questo, finirà
ancora peggio, e di altro odio non c’è davvero bisogno. Sono entrato in questo
mondo da persona libera, e da persona libera ne sono uscito, perché non mi
piaceva nemmeno un po’. Basta con le ipocrisie.
Non mi faccio ricattare dal fatto che è l’unico possibile,
il modello unico non funziona. Siete voi che fate i conti con me, non io con
voi. Io sono un anticonformista, da sempre, e ho il diritto di dire ciò che
penso, di fare la mia scelta, a qualsiasi costo. Non esiste niente che non si
possa separare, la morte è solo lo strumento. Il libero arbitrio obbedisce
all’individuo, non ai comodi degli altri. Io lo so che questa cosa vi sembra
una follia, ma non lo è. È solo delusione. Mi è passata la voglia: non qui e
non ora. Non posso imporre la mia essenza, ma la mia assenza sì, e il nulla
assoluto è sempre meglio di un tutto dove non puoi essere felice facendo il tuo
destino.
Perdonatemi, mamma e papà, se potete, ma ora sono di nuovo a
casa. Sto bene. Dentro di me non c’era caos. Dentro di me c’era ordine. Questa
generazione si vendica di un furto, il furto della felicità. Chiedo scusa a
tutti i miei amici. Non odiatemi. Grazie per i bei momenti insieme, siete tutti
migliori di me. Questo non è un insulto alle mie origini, ma un’accusa di alto
tradimento.
P.S. Complimenti al ministro Poletti. Lui sì che ci
valorizza a noi stronzi.
Ho resistito finché ho potuto.”
Nessun commento:
Posta un commento