lunedì 6 febbraio 2017

Mutilazioni Genitali, Mutilazioni dell'anima. Rebecca di Santo

Dal pianerottolo arrivano rumori. Il passaggio di chi sale, a piedi o con l’ascensore.
Anele non è mai salita oltre i gradini d’ingresso del palazzo. In realtà Anele non è mai uscita di casa da quando vi è stata condotta. Sa di essere a Milano, e cerca nelle immagini del suo smartphone il significato di quel mondo che la circonda e di cui lei sente solo vaghi suoni.
Vive con tre uomini, due sono i suoi fratelli e l’altro è il marito.
Stanno con lei la mattina, qualche volta a pranzo, e la sera.  La sera non la lasciano da sola, è d’uso che solo uno dei maschi esca.
Non le parlano praticamente mai, l’unico che le si rivolge direttamente è il marito, Ohini.
Anele e Ohini hanno la stessa età, 23 anni.
Sono stati fatti fidanzare oramai da 10 anni. La famiglia di Ohini ha voluto essere presente alla defibulazione di Anele. Aveva 13 anni.
Anele non ricorderebbe mai quei momenti se non fosse che ogni volta che fanno l’amore il dolore il suo corpo diviene un’arma potente nelle mani del dolore.
La stanza era calda, umida, fra sudore e acqua messa a bollire in vari punti, vicino ai tappetini a terra. Anele aveva 9 anni ed aveva avuto il menarca. Foglie di banano fra le gambe l’avevano tenuta pulita. Appena finito il ciclo le donne della famiglia l’avevano portata a lavare al fiume. Un lungo bagno. Due giorni di riposo, poi l’avevano condotta nella casa della vecchia. Anele ne aveva sempre sentito parlare, senza mai comprendere appieno cosa quella vecchia facesse. Da quella casa stavano lontani tutti, uomini e donne, bambine e ragazzi. Mentre Anele si avvicinava, sentiva alle narici l’odore schifoso dell’urina e delle feci. Nelle orecchie grida soffocate, trattenute con strazio, anche piangere era un disonore.
Quando la porta di quelle quattro mura si aprì, il peggio di quanto potesse mai aver fantasticato le si parò dinanzi agli occhi. Le mura erano sudice, il pavimento di terriccio era coperto da tappeti e stoffe intrise di puzzo e liquidi di ogni natura, qua e là lampade ad olio illuminavano ciò che non si doveva vedere.
Anele iniziò a respirare forte, un affanno che presto si tramutò in desiderio di fuga. Ma le braccia delle donne della sua famiglia erano già pronte, mentre la trattenevano come animale al macello, cantilenavano e fissavano punti fissi verso il centro della stanza.
Anele venne stesa a terra a forza. A forza le fu messo nella bocca un pezzo di stoffa che sapeva di saliva. Le mani di sua madre erano quelle più tenaci, quelle che più delle altre sentiva metterci l’anima pur di non farla andar via di lì.
La donna anziana si sollevò da una bambina svenuta poco distante da Anele, si levò, come un mostro avrebbe potuto fare, dal corpo esangue dell’ennesima vittima sacrificale. Un guizzo di follia nello sguardo e un coltello dalla lama corta nella mano. Avvicinò la lama alla fiamma della lampada e ripeté più volte gli stessi gesti: passava la lama dalla fiamma alla stoffa logora su cui la ripuliva, una, due, dieci volte.
Anele era ipnotizzata da quei gesti e dalle luci. Sentiva la sua coscienza vagare in qualche punto della testa, ma non riusciva ad avere possesso di sé. Quelle mani, che la placcavano a terra, avevano evidentemente conquistato ampi spazi della sua anima.  Fu così che vide la vecchia posare il coltello su un piccolo leggìo di legno. Vi erano messi in ordine coltelli e lamette.
Avrebbe potuto sentire nella carne il diverso modo di tagliare di ognuno: le lamette, precise e rapide, le portarono via il clitoride; un colpo secco che le procurò un vuoto fra cervello e gola, un vuoto tale che non le permise di urlare e di cui, purtroppo, non morì né svenne. Altre lame lacerarono le piccole labbra, tagli piccoli e lentissimi. Durante uno di questi l’urlo finalmente bucò la stoffa madida che le riempiva la bocca.
Anele fu certa che lo avessero sentito ovunque, in cielo e in terra.
Ma così non era. Chi, nelle immediate vicinanze, lo aveva sentito riteneva che più alto fosse stato il grido più giusto il dolore.
La purezza è una conquista che deve passare attraverso una fessura strettissima.
Anele cancella e ricancella questi ricordi. Cancella gli impacchi per lenire il bruciore matto. Ricancella il dolore della pipì trattenuta pur di non urlare mentre, al passaggio, fa ardere la carne ancora nuda. Ad ogni nuovo ciclo, l’infezione si rinnova e le foglie di banano si trasformano in piante dalle mille spine.

Sono passati anni. Anele è passata per la pratica della defibulazione quando, sicuri che Ohini l’avrebbe sposata, hanno allargato il suo orifizio, in presenza delle donne di entrambe le famiglie.

Anele quando girovaga col suo smartphone rimane incredula di fronte alle foto delle ragazze che ammiccano agli uomini, riconosce in quella complicità un possibile piacere condiviso che lei mai e poi mai ha provato.
Ogni volta che Ohini la possiede spera che passi presto e stringe i denti fino a mordersi le labbra per coprire il dolore fra le gambe col dolore nella bocca.

Anele quando sente il rumore sul pianerottolo non sa cosa immaginare, sente però, a volte, le voci di ragazze e ragazzi che chiacchierano allegri, le chiacchiere fra uomini e donna adulti che assumono toni a lei sconosciuti. E non capisce le loro parole proprio come non ha mai capito il perché della violenza subita, ma vi ravvede un piacere sottile, un giocare emozionato, che mai ha provato.

di Rebecca di Santo



Oggi, sei febbraio, si celebra la Giornata Mondiale contro le Mutilazioni Genitali Femminili. 3 milioni l’anno le bambine a rischio.
In Italia tali pratiche – che siano l’escissione della clitoride, l’infibulazione o qualsiasi genere di mutilazione – sono perseguibili per Legge, ma contattare le donne che vivono da noi (o in ogni caso in paesi fuori da quelli di provenienza) è paradossalmente più difficile che avvicinare e sensibilizzare coloro che vivono nei paesi d’origine. Chi vive altrove, vive in una situazione di isolamento. Per gli operatori queste donne sono irraggiungibili. Non è permesso loro di sviluppare un tessuto sociale, spesso non possono proprio mettere il naso fuori di casa.

Ci sono degli obiettivi internazionali che hanno come prospettiva quella del 2030, anno in cui si auspica le mutilazioni siano classificate in ogni Paese come illegali e, pertanto, chi le pratica, chi ne è complice, chi le propaganda, sia perseguibile per legge.







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