Dal pianerottolo arrivano rumori. Il
passaggio di chi sale, a piedi o con l’ascensore.
Anele non è mai salita oltre i gradini d’ingresso
del palazzo. In realtà Anele non è mai uscita di casa da quando vi è stata
condotta. Sa di essere a Milano, e cerca nelle immagini del suo smartphone il
significato di quel mondo che la circonda e di cui lei sente solo vaghi suoni.
Vive con tre uomini, due sono i suoi fratelli
e l’altro è il marito.
Stanno con lei la mattina, qualche volta a
pranzo, e la sera. La sera non la
lasciano da sola, è d’uso che solo uno dei maschi esca.
Non le parlano praticamente mai, l’unico
che le si rivolge direttamente è il marito, Ohini.
Anele e Ohini hanno la stessa età, 23 anni.
Sono stati fatti fidanzare oramai da 10
anni. La famiglia di Ohini ha voluto essere presente alla defibulazione di
Anele. Aveva 13 anni.
Anele non ricorderebbe mai quei momenti se
non fosse che ogni volta che fanno l’amore il dolore il suo corpo diviene un’arma
potente nelle mani del dolore.
La
stanza era calda, umida, fra sudore e acqua messa a bollire in vari punti,
vicino ai tappetini a terra. Anele aveva 9 anni ed aveva avuto il menarca.
Foglie di banano fra le gambe l’avevano tenuta pulita. Appena finito il ciclo
le donne della famiglia l’avevano portata a lavare al fiume. Un lungo bagno. Due
giorni di riposo, poi l’avevano condotta nella casa della vecchia. Anele ne
aveva sempre sentito parlare, senza mai comprendere appieno cosa quella vecchia
facesse. Da quella casa stavano lontani tutti, uomini e donne, bambine e
ragazzi. Mentre Anele si avvicinava, sentiva alle narici l’odore schifoso dell’urina
e delle feci. Nelle orecchie grida soffocate, trattenute con strazio, anche
piangere era un disonore.
Quando
la porta di quelle quattro mura si aprì, il peggio di quanto potesse mai aver
fantasticato le si parò dinanzi agli occhi. Le mura erano sudice, il pavimento
di terriccio era coperto da tappeti e stoffe intrise di puzzo e liquidi di ogni
natura, qua e là lampade ad olio illuminavano ciò che non si doveva vedere.
Anele
iniziò a respirare forte, un affanno che presto si tramutò in desiderio di
fuga. Ma le braccia delle donne della sua famiglia erano già pronte, mentre la
trattenevano come animale al macello, cantilenavano e fissavano punti fissi
verso il centro della stanza.
Anele
venne stesa a terra a forza. A forza le fu messo nella bocca un pezzo di stoffa
che sapeva di saliva. Le mani di sua madre erano quelle più tenaci, quelle che
più delle altre sentiva metterci l’anima pur di non farla andar via di lì.
La
donna anziana si sollevò da una bambina svenuta poco distante da Anele, si
levò, come un mostro avrebbe potuto fare, dal corpo esangue dell’ennesima vittima
sacrificale. Un guizzo di follia nello sguardo e un coltello dalla lama corta
nella mano. Avvicinò la lama alla fiamma della lampada e ripeté più volte gli
stessi gesti: passava la lama dalla fiamma alla stoffa logora su cui la ripuliva,
una, due, dieci volte.
Anele
era ipnotizzata da quei gesti e dalle luci. Sentiva la sua coscienza vagare in
qualche punto della testa, ma non riusciva ad avere possesso di sé. Quelle mani,
che la placcavano a terra, avevano evidentemente conquistato ampi spazi della
sua anima. Fu così che vide la vecchia
posare il coltello su un piccolo leggìo di legno. Vi erano messi in ordine
coltelli e lamette.
Avrebbe
potuto sentire nella carne il diverso modo di tagliare di ognuno: le lamette,
precise e rapide, le portarono via il clitoride; un colpo secco che le procurò
un vuoto fra cervello e gola, un vuoto tale che non le permise di urlare e di
cui, purtroppo, non morì né svenne. Altre lame lacerarono le piccole labbra,
tagli piccoli e lentissimi. Durante uno di questi l’urlo finalmente bucò la
stoffa madida che le riempiva la bocca.
Anele
fu certa che lo avessero sentito ovunque, in cielo e in terra.
Ma
così non era. Chi, nelle immediate vicinanze, lo aveva sentito riteneva che più
alto fosse stato il grido più giusto il dolore.
La
purezza è una conquista che deve passare attraverso una fessura strettissima.
Anele cancella e ricancella questi ricordi.
Cancella gli impacchi per lenire il bruciore matto. Ricancella il dolore della
pipì trattenuta pur di non urlare mentre, al passaggio, fa ardere la carne
ancora nuda. Ad ogni nuovo ciclo, l’infezione si rinnova e le foglie di banano
si trasformano in piante dalle mille spine.
Sono passati anni. Anele è passata per la
pratica della defibulazione quando, sicuri che Ohini l’avrebbe sposata, hanno
allargato il suo orifizio, in presenza delle donne di entrambe le famiglie.
Anele quando girovaga col suo smartphone
rimane incredula di fronte alle foto delle ragazze che ammiccano agli uomini,
riconosce in quella complicità un possibile piacere condiviso che lei mai e poi
mai ha provato.
Ogni volta che Ohini la possiede spera che
passi presto e stringe i denti fino a mordersi le labbra per coprire il dolore
fra le gambe col dolore nella bocca.
Anele quando sente il rumore sul
pianerottolo non sa cosa immaginare, sente però, a volte, le voci di ragazze e
ragazzi che chiacchierano allegri, le chiacchiere fra uomini e donna adulti che
assumono toni a lei sconosciuti. E non capisce le loro parole proprio come non
ha mai capito il perché della violenza subita, ma vi ravvede un piacere
sottile, un giocare emozionato, che mai ha provato.
di Rebecca di Santo
Oggi, sei febbraio, si celebra la Giornata
Mondiale contro le Mutilazioni Genitali Femminili. 3 milioni l’anno le bambine
a rischio.
In Italia tali pratiche – che siano l’escissione
della clitoride, l’infibulazione o qualsiasi genere di mutilazione – sono perseguibili
per Legge, ma contattare le donne che vivono da noi (o in ogni caso in paesi fuori da
quelli di provenienza) è paradossalmente più difficile che avvicinare e sensibilizzare
coloro che vivono nei paesi d’origine. Chi vive altrove, vive in una situazione
di isolamento. Per gli operatori queste donne sono irraggiungibili. Non è
permesso loro di sviluppare un tessuto sociale, spesso non possono proprio
mettere il naso fuori di casa.
Ci sono degli obiettivi internazionali che
hanno come prospettiva quella del 2030, anno in cui si auspica le mutilazioni siano
classificate in ogni Paese come illegali e, pertanto, chi le pratica, chi ne è
complice, chi le propaganda, sia perseguibile per legge.
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