domenica 19 febbraio 2017

"Il Triangolo Rosa" di Mirella Eva Bernardi

Il Triangolo Rosa


Non era più una persona.
Lì dentro, Edward era solo un numero, il numero 182101 per l’esattezza.
Al posto delle sei lettere del suo nome, si erano piazzate sei cifre.
Sul petto, invece, un triangolo rosa aveva preso il posto del cuore.
Quel triangolo urlava  “omosessuale” da tutte le parti e scatenava l’indignazione di chi gli passava a fianco, soprattutto dei soldati nazisti, che, tanto per mortificarlo ancora di più, gli sbattevano le canne dei fucili addosso o gli urlavano parole offensive. Gli altri prigionieri non ci badavano troppo, preoccupati per la morte che poteva arrivare da un momento all’altro. Si poteva morire per qualsiasi cosa, anche per l’umore storto della guardia, che ossessivamente ti controllava.
Edward faceva il possibile per passare inosservato e, contemporaneamente, svolgere bene gli ordini che gli arrivavano.
Il suo ragazzo, invece, non riusciva proprio ad arrendersi all’evidenza. Noah aveva molte più ferite di Edward, molte delle quali risalivano ancora al momento della liquidazione del loro ghetto. Aveva provato con tutte le forze a non farsi catturare ed era un miracolo se non era rimasto ucciso, dopo tutto quello che aveva combinato: arrampicate sugli alberi, tentativi di fuga attraverso le fogne e, addirittura, aggressione di un soldato, che non l’aveva ucciso solo perché aveva finito la riserva dei proiettili.
Arrivato al campo chiamato “Birkenau”, Noah ricevette non solo il triangolo rosa (come Edward) ma anche quello giallo. Questi due triangoli lo indicavano come “ebreo omosessuale”.
I due ragazzi non capivano bene il perché di tali distinzioni.
«Tanto vogliono ammazzarci tutti lo stesso!» commentò Noah, durante una discussione tra i ragazzi del dormitorio numero diciotto.
«I simboli servono per sapere come trattare ognuno di noi.» gli rispose un uomo magrissimo, scheletrito come un albero spoglio. Non era difficile intuire che fosse a Birkenau da diverso tempo. Aveva una stella di Davide cucita sulla giacca esageratamente grande per le sue povere spallucce. 
Non si parlava per molto nei dormitori.
Tutti volevano provare a dormire il più possibile.
Ad essere precisi, non si parlava molto in generale.
Durante le ore di lavoro, i suoni che si sentivano non erano parole, ma lamenti ed urla.
Quelle urla, la maggior parte delle volte, finivano con uno sparo e qualche povero diavolo steso a terra.
Edward aveva sempre il terrore di guardare uno di quei cadaveri e accorgersi che magari era Noah. Cercava di stargli vicino il più possibile per non perderlo di vista, ma non sempre ci riusciva. In quei casi sfortunati, il ragazzo pregava perché Noah non facesse qualche sciocchezza. Sapeva bene che non avrebbe potuto cavarsela ogni volta. Prima o poi, Noah sarebbe arrivato a commettere l’ultima imprudenza e, purtroppo per entrambi, quel momento sembrava proprio essere arrivato. Edward stava trascinando un carretto pieno di pietre, quando sentì un urlo pericolosamente familiare. Come temeva, vide Noah accasciato a terra e un soldato che lo riempiva di calci e lo bastonava con il suo fucile.
D’un tratto l’aguzzino lo afferrò per il collo, impedendogli di respirare. Stava per succedere.
Noah stava per morire ed Edward era lì, a qualche metro da lui ma impotente. Voleva fare qualcosa per impedire che il suo peggior incubo si avverasse, ma riusciva solo a stare fermo e a guardare la scena con il cuore in gola. Si sentì ancora peggio quando Noah girò leggermente la testa e lo guardò.
Non gli stava chiedendo aiuto, voleva semplicemente che il viso del fidanzato fosse l’ultima cosa impressa nella sua mente, prima del buio della morte.
Edward capì i pensieri del compagno, quindi ricambiò quello sguardo intenso, cercando addirittura di abbozzare un sorriso. La stretta sul collo di Noah si allentò, ma fu seguita subito dopo dallo sparo fatale.
Il sangue cominciò ad uscire dalla testa rasata del ragazzo, così come le lacrime uscirono copiose dagli occhi di Edward.
Ormai non gli era rimasto più niente e nessuno.
L'unica cosa bella a cui non avrebbe voluto rinunciare se ne era appena andata.
La sua vita non era più vita, ma solo un insieme di avvenimenti uno più tristi dell'altro.
La presenza di Noah in quell'Inferno lo aiutava più di quanto sia possibile immaginare. Avere una relazione con un ragazzo, in quei tempi, gli aveva causato non pochi problemi, ma era stato anche ciò che gli permetteva ancora di ridere o avere dolci pensieri. Senza Noah poteva solo continuare a far finta di continuare a vivere, ma non era sicuro di volerlo.
Se ci pensava bene, la morte lo avrebbe tolto da quel mondo orribile e avrebbe messo fine a tutte le sue sofferenze.
La decisione era presa!
Rimaneva solo da trovare un modo per farsi sparare più rapidamente possibile.
«Forza, ricominciate a lavorare, se non volete fare la stessa fine!» ordinava la voce dura dello stesso soldato che aveva ucciso Noah. Edward aveva appena trovato il suo biglietto per l'ultimo treno.
«No!» esclamò in modo che l'uomo lo sentisse chiaramente.
Il primo schiaffo non tardò ad arrivare. A quello, ne seguirono altri. La guardia cercò di farlo cadere, ma il ragazzo non cedeva. Dopo una serie interminabile di schiaffi, il soldato si sdegnò e prese il fucile. Lo puntò contro Edward, pronto a sparare.
«Lo dirò solo un'altra volta: torna a lavorare!» gridò con il suo accento marcato.
Edward chiuse gli occhi: rivide tutti i momenti migliori della propria vita, la maggior parte di essi trascorsi con Noah.
Gli vennero in mente anche momenti terribilmente brutti, come l'isolamento nel ghetto e la dura prigionia a Birkenau che stava per finire, e quella di Noah che era già stato liberato.
Edward sentì il grande bisogno di raggiungerlo, e fu questo lo stesso desiderio che gli diede la forza di pronunciare la sua ultima parola:
«No!». Dopo, solo il rumore di uno sparo e di un corpo che si schiantava a terra, raggiungendo nell'infinito la sua metà.

di Mirella Eva Bernardi







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