domenica 19 febbraio 2017

Uscire dal cyberbullismo: it gets better (andrà meglio). di Rebecca


Le foto dei ragazzi che si tolgono la vita perché vittime del cyberbullismo tolgono il fiato.
Sempre sorridenti in quel loro apparire sociale.
Luminosi, come gli adolescenti devono essere, nonostante il travaglio che tutti si trovano ad attraversare per crescere e affermare loro stessi.
Fra le vittime del cyberbullismo 1 su 10 tenta il suicidio. 

La vita di chi è vittima di cyberbullismo diviene la vita di una persona che soffre un profondo disagio relazionale, di certo, ma anche intimo, esistenziale: autolesionismo, depressione e pensieri di suicidio sono compagni di viaggio che le ragazze e i ragazzi vittime imparano a conoscere e coi quali venire a patti è difficilissimo e doloroso.

C'è qualcosa che accade nella mente di queste creature che sconvolge il loro assetto, rende irrecuperabile lo stato di lucidità precedente.
Dalle storie lette emergono due aspetti opposti e diversamente drammatici: chi non riesce a confidarsi e rimane in trappola, chi rivela tutto e, nonostante ciò, viene schiacciato dalla depressione, effetto diretto delle violenze subite.
Molte, moltissime ragazze tacciono l'accaduto, non condividono con le famiglie la brutalità di cui sono vittime. Spesso ciò avviene perché c'è stata una complicità iniziale che fa sentire "in colpa". Una complicità sessuale perlopiù. Adolescenti che accettano di condividere foto o video del proprio corpo con quello che è il fidanzatino o la chat degli amici. 
Questo fa sì che parlare con i propri genitori sia difficilissimo. Dover dire che tutto è partito da un proprio gesto legato all'ambito della sessualità è arduo. E così anche questo aspetto entra a far parte dei percorsi tortuosi che la mente prende e da cui non riesce a liberarsi.

In altri casi, invece, non c'è nessuna complicità. Le immagini di cui il cyberbullo viene in possesso sono immagini dal contenuto violento (molto spesso si tratta di video). Ragazze ubriache riprese in situazioni di cui non hanno coscienza e che ritrovano poi nei social. Ragazzi sottomessi a farsi fotografare poiché già vittime di una violenza psicologica da cui non sanno sfuggire.

Nel leggere di queste esperienze sembra chiaro come la via di uscita debba sembrare preclusa, inesistente. 

Invece la chiave è proprio questa: condividere con la propria famiglia, con un adulto che accolga e che aiuti a cancellare tutto, a modificare la prospettiva. 
Mettere il primo piano la propria integrità e chiamare le cose con il loro nome: violenza di vigliacchi.

Dai racconti esce fuori il silenzio nel quale queste storie avvengono. 
Un incubo che corre e si dilata nel web e nella testa, ma che viene taciuto a chi potrebbe portarcene fuori: una zia, un fratello, il papà, la mamma, un'insegnante.

Le parole che mi vengono alle labbra ogni volta che un ragazzo si uccide per cyberbullismo sono "Se solo un adulto avesse potuto dire: vedrai che andrà meglio", le stesse della campagna americana nata dalla volontà di Dan Savage e Terry Miller: "it gets better".
Andrà meglio.
I mostri scompariranno alla luce del sole. 
I mostri scompariranno nell'abbraccio di chi ci ama.

Ma questo è un sogno pieno di malinconia. 
La verità è che a questo punto è raro arrivarci e tutto il dramma accade prima.

Cosa accade prima?

La quasi totalità scopre di essere diventata oggetto ai "attenzione" a cose fatte. Quando le immagini sono già di dominio pubblico. Perché il cyberbullismo non conosce pause, continua ad agire mentre i ragazzi dormono, mentre studiano. 
Si ritrovano a leggere commenti di cui sono oggetto anche a distanza di giorni . 
Un atto di coraggio sarebbe quello di uscire dai social. 
Andare via, togliersi da quel terreno su cui prolifera l'aggressione che rende esponenziale il disagio della vittima.
La legge però sta facendo davvero dei passi avanti. Innanzitutto perché più conosciamo il cyberbullismo più, come mondo adulto, possiamo dare risposte efficaci.
Ad esempio il testo approvato in Senato a inizio febbraio, mette a disposizione dei ragazzi un importante strumento: nonostante la minore età potranno chiedere al gestore del sito internet in cui subiscono aggressione, di oscurare le immagini che lo vedono protagonista. Se il gestore non ottempererà a questa richiesta sarà necessario il coinvolgimento dei genitori per rivolgersi al Garante della Privacy.
Intanto però il primo passo può essere fatto in autonomia e di questo vanno assolutamente informati i ragazzi.
Gli altri contenuti sono di contrasto, di informazione, di preparazione del personale scolastico, ma la possibilità dei ragazzi di fare richiesta diretta è forse la parte fondamentale, almeno nell'immediata situazione di chi si trova oppresso dagli avvenimenti.

La strada più lunga invece ci coinvolge tutti, soprattutto in quanto genitori.
Allargare il giro dei nostri interessi nei confronti dei nostri figli.
Non c'è solo la scuola (con il rendimento), non ci sono solo le performance sportive, dobbiamo pensare al nostro e al loro talento. 
Che non significa chiedere di eccellere in qualcosa che per noi costituisce la massima ispirazione, tutt'altro.
L'idea del talento è un'idea molto più esistenziale.
La teoria della Ghianda di James Hillman lo dice con estrema semplicità: se oggi sei una ghianda domani non potrai che diventare una quercia.
Il talento ci chiede di essere scoperto, ci chiede di comprendere qual è la nostra unicità, cos'è che ci portiamo in dotazione e che possiamo divenire. Se incontriamo il nostro talento e lo riconosciamo, diveniamo un tutt'uno con la nostra vita. 
Questo dovremmo condividere coi nostri figli, questa modalità di essere noi stessi.
Non belli e bravi o brutti e cattivi. Essere molto più complessi e reali.

Persone di questo tipo riescono a proteggersi molto più di chi cresce secondo schemi di perfezione o antagonismo.
Persone di questo tipo si guardano negli occhi e sanno trattare anche il tema più dolente con sincerità, davanti ai loro figli come davanti a loro stessi.
Perché qui sta il fulcro: ciò che facciamo ha delle conseguenze, sempre.

Carolina, Amanda, Tyler, Jamey, Joe, tutti voi, avrei voluto conoscervi per dirvi che le cose potevano andare meglio.
Perché questo è ciò che dobbiamo testimoniare ai nostri ragazzi: "it gets better".
Andrà meglio.
Però bisogna parlare, noi adulti dobbiamo essere i primi a farlo raccontando di noi stessi occhi negli occhi.


Oggi, 17 maggio 2017, la Camera ha approvato in via definitiva la legge sul cyberbullismo: 
la priorità era portare a casa la legge, in modo che il prossimo anno scolastico (2017/2018) partisse con degli strumenti in più di tutela per i ragazzi.
Una legge che finalmente colma il vuoto normativo e che mette in azione il ruolo fondamentale della prevenzione attraverso l'educazione ad un uso responsabile e consapevole dei nuovi media.
Le Legge richiede la ricognizione immediata delle docenti e dei docenti in ogni istituzione scolastica. 
Saranno infatti poi loro i referenti atti a coordinare le iniziative di prevenzione e contrasto del cyberbullismo, anche avvalendosi della collaborazione delle Forze di polizia nonché delle associazioni e dei centri di aggregazione giovanile presenti sul territorio.



Tyler Clementi,
dicembre 1991 - settembre 2010

Jamey Rodemeyer,
marzo 1997 - settembre 2011


Carolina Picchio,
1999 - gennaio 2013


Amanda Todd,
novembre 1996 - ottobre 2012



Joe Chearmonte,
febbraio 1993 - febbraio 2010

2 commenti:

  1. che tristezza..Speriamo che passi una legge che penalizza chi mette in rete queste cose e soprattutto di essere in grado di rafforzare questi ragazzi e di metterli al corrente dei rischi che corrono a fare video foto... :-((

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