Ti guardo ora, mentre abbiamo gli occhi bruciati, e mi chiedo quand'è che ho iniziato a perdere.
Quand'è che l'Onnipotente ha accettato che andassimo al macello.
Ti ho portata qui. Fra le braccia.
Ti ho lasciato giocare col mare, perché il tragitto fosse memoria dolce di una notte speciale.
Mentre io vedevo un gommone disperato e lento.
Ti ho fatta giocare con la sabbia grossa, perché la nuova terra ti si presentasse bambina, disposta al meglio, come te.
E poi altri passi, con altre gambe e altri piedi insieme a noi.
Ti tengo la mano, sempre.
Ho paura a staccare il mio corpo dal tuo.
se io ti perdessi, mi perderei per sempre
e l'Onnipotente avrebbe vinto con la sua fame di anime impazzite.
Ho visto ciò che accadrà domani.
Me lo hanno raccontato in sogno.
Domani i Bambini che sono morti formeranno riflessi nell'acqua.
Piccole onde a pettinare i loro capelli.
E intanto tu mi passi il respiro sul petto, piccolo fiato d'argilla impastata.
Nemmeno il buio si muta in silenzio, fra tutti che raschiano il fondo della stanchezza.
"lalala lalala lalalalalalala lalala lalala lalalalalala"
Spingo nel tuo minuscolo orecchio il sussurro di una ninnananna per portarti dove vorrei essere insieme.
Vorrei tornare a quella notte quando il cielo ha taciuto e, dopo tanto, non arrivava dalla strada l'odore di polvere e calcinacci.
La tua sola notte di quiete, finora.
Ho vegliato comunque con la luna, non volevo perdermi quel freddo lontano su di noi.
E per consolarmi ricordo il momento in cui ti ho messa al mondo.
Quando l'affanno mi si è confuso coi pensieri, accavallato col dolore.
In una stanza dalla luce fioca, su una lettiga che portava i segni di tante storie.
Solo qualche giorno prima avevamo portato tuo cugino, con una gamba che pendeva senza vita, dentro la sua tuta da ginnastica sporca di sangue e di giochi per strada.
Non lo conoscerai mai, lui è andato via, senza la sua gamba, senza il suo pallone di cuoio.
E l'abbiamo salutato sulla stessa lettiga di sangue in cui poi tu sei venuta al mondo.
Amore mio, la vita non è dolore. La vita è vagare.
Vagare cercando di non toccare i fili elettrici.
Vagare cercando di correre dietro al pallone senza che il dardo rabbioso degli Dèi ci colpisca.
La vita è quel gommone che ci ha portate verso il futuro, mentre rischiavamo in ogni minuto di annegare.
La vita è domani, domani che verrà e ancora non sappiamo dove saremo.
La vita è il latte che ho avuto solo per due giorni e che poi si è ritirato, l'ultimo goccio lo hai preso nello stesso istante in cui un barile-bomba ha lacerato aria, cuore, latte e corpi di tutto ciò che trovava a tiro.
Ora siamo di qua.
Non so cosa voglia dire, Amore mio.
So che non fermerò i miei passi.
So che continuerò a camminare fino a quando non saremo accolti da sorrisi e fino a quando la Morte vorrà avere la meglio su di noi.
di Rebecca di Santo