giovedì 14 aprile 2016

"Cantilena della Nonna" di Rebecca

Lui stringe nella mano il potere. 
Prezioso. Come solo il castigo divino sa essere.

Lei è stordita. 
Il sole ha lasciato evaporare i suoi pensieri.

Lui avanza. 
Non è solo. Tutti insieme, tutti uomini, sono eccitati e sicuri.

Lei ha squarci di lucidità che dedica a una incomprensibile cantilena.

Lui ha un'erezione. 
Avvicina la mano della morale al suo sesso. E ci strofina la giustizia. Il piacere ancestrale del portare a compimento.

Lei non può muovere nulla. 
Se non sillabe infantili e impaurite. Che sua nonna le ha insegnato a lasciar andare.

Lui la guarda. 
Non la conosce. E ormai la voglia di venire si mescola all'impellenza di concludere.

Lei sente tamburi che, forse, non ci sono. 
Davanti ai suoi occhi il luccichìo di sabbia, minerali conservati da sempre in quella parte di terra.

Lui alza il braccio. 
Ha sentito l'urlo di inizio, simile a quello della caccia al cinghiale delle nostre parti. I sassi per il linciaggio non devono essere troppo piccoli, poiché devono far male, ma neanche così grandi da uccidere al primo colpo.

Lei, solo la testa emerge dal sotterramento. 
Solo la nenia. Viene colpita da cinque, sei, nove pietre. E si alza, dal suo ultimo lunghissimo respiro, la voce profonda della maledizione che sembra provenire da una dimora profonda, nella terra.

Lui e loro posseduti da una furia polverosa. 
Pietrificati, lentamente, nella sacrosanta posa dei boia.

Lei muore lentamente, sognando un vortice d'aria che la spettina e la fa ridere.

Lui e loro rimangono vigili. 
Statue.

Ci saranno vermi e scorpioni a conquistare il silenzio, 
a muoversi fra gli avanzi di selci insanguinati.



Lei sta andando via ma tornerà, nei sogni, e apparirà soltanto nell'angolo più buio dell’incubo. 
Quando l’affanno dell’orrore cercherà l’interruttore di una luce. 
E troverà solo le pareti immobili di una tomba.

di Rebecca di Santo


Farkhunda Malikzada è stata lapidata nel maggio 2015 da una folla feroce e insensata. Ai funerali la sua bara è stata portata a spalla dalle donne afghane per protestare contro il suo inutile e violento martirio.

ù


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