"Ehi?"
Silenzio
e immobilità.
“Ehi…? C’è
qualcuno?”
Il buio
rende ciechi, W. lo aveva pensato molte volte da bambino quando sulla capanna
calava la notte assoluta della luna nuova.
Anche le
nuvole più nere fanno luce se c’è la luna dietro di loro.
Ma, quando
lassù tutto si ritira, fra i baobab e i banani, non c’è un filo di chiarore.
E così è
come essere ciechi.
Cos'era
più vero, il verde del baobab o il bianco dei denti?
Il palmo
chiaro delle mani?
Oppure
quella coperta che, caduta su ogni singola cosa, non permette più di distinguere
nulla?
“Ehi? Io
non mi posso muovere… c’è qualcuno?”
Mai
avrebbe pensato che quella cecità tornasse, così umida e maleodorante. Il
barcone su cui era salito si era riempito velocemente.
Gli
avevano dato dei consigli: non salire fra i primi, mettiti vicino ai bambini
(se ce ne sono), mettiti vicino al portellone perché c’è più aria… e se non
fosse vero è di certo così che ti sembrerà nei momenti più duri del viaggio.
E così
aveva fatto, anche se era certo che i primi ad entrare fossero stati dei
bambini, e questo proprio non gli era piaciuto. Aveva avuto una brutta
sensazione, ma così brutta che solo quando era toccato a lui spingere per
salire se ne era liberato.
Una volta
dentro aveva cercato i bambini, lì in fondo. Erano seduti fra la massa di corpi e la
superficie ferrosa dell’imbarcazione. C’erano delle giovani donne con loro e,
anche se magari non tutti i bambini avevano le madri con loro, sembravano in un
ambiente protetto, quasi isolato dal resto degli uomini e delle donne che
colmavano la stiva.
Tutto, da
quel momento, era filato liscio. Era stato distinto il passaggio dal giorno
alla notte, grazie ai minuscoli oblò che separavano l’ambiente interno dal mare.
Il mare, che di giorno diffonde una luce vischiosa e poi catapulta nel nulla della notte.
Il mare, che di giorno diffonde una luce vischiosa e poi catapulta nel nulla della notte.
Pian
piano il sonno aveva avuto pietà di tutti loro. Un sonno storto, scomodo, fatto
di piedi ficcati nella schiena e di vomito dentro le buste che ognuno aveva portato. Qualche parolaccia astiosa contro il mare, qualche pianto dei bambini
stanchi di stare al chiuso.
Però
tutti aveva trovato minuti di benedetto sonno ad abbreviare il viaggio.
In più
momenti W. aveva avuto paura, non era paura di morire o di stare male. Aveva avuto
paura che quel viaggio non servisse, che i suoi sogni non avrebbero mai visto la luce e,
soprattutto, temeva di sentirsi di nuovo quegli occhi crudeli addosso, di sentirsi
indesiderato, odiato, fuori posto assoluto.
Quando si
era trovato in strada a bruciare copertoni sapeva che non sarebbe servito
a nulla, i militari li avevano lasciati fare, poi quando avevano deciso che quei
caroselli dovevano avere finire avevano iniziato a sparare e a picchiare, coi
manganelli e coi piedi.
E, in
poco più di una giornata, le strade si erano svuotate, anche le famiglie si
erano svuotate coi più giovani o morti o in fuga.
Nella
mente di W. era ancora tutto vivido e l’odore dei corpi mescolati in quella stiva faceva
tornare tutto a galla, e provava orrore. La puzza di
bruciato, l’odore del sangue e, ora, quello del vomito.
Quella stiva trasudava
e marciva di ruggine, piccoli fiori di ferro scuro portavano alle narici un odore
che si traduceva in sapore.
Poco
lontano da lui c’era una ragazza incinta, lei era quella messa peggio:
vomitava, piangeva e digrignava imprecazioni velenose. Faceva spesso bisogno pipì accucciata sulle bottigliette che aveva a disposizione.
La sua
pancia era davvero grande e, sotto tutto quel malessere, c’era una paura
enorme.
La paura
di tutti.
Il buio
aveva portato poco sonno e molti lamenti.
Aveva
dilatato i dubbi e anche le onde erano cresciute.
Quando la
barca ha preso a impennarsi per la spinta delle acque e poi a ricascare dentro
il mare, il silenzio si è fatto totale.
Fino a
quando i rumori esterni hanno iniziato a risucchiare le urla della stiva. Prima
solo le donne, poi i bambini e poi un suono di gola e di pancia che era diventato
un’unica voce.
Nel
salire e ricadere, la stiva si è aperta sbattendo duramente contro gli scogli.
Nessuno,
a quel punto, ha sentito più ciò che avveniva attorno. Ognuno ha acuito il suo
dolore, il suo particolare sentire la paura.
L’occhio
di W. cerca nel buio i suoni dei bimbi. Al loro posto trova il rumore dell’acqua
che entra nella stiva. Rumori sconosciuti. Vocìo pieno d’acqua. Hanno chiesto aiuto a nessuno.
“Ehi? C’è
qualcuno?”
W. sente
il freddo dell’acqua afferrargli le gambe.
Aveva seguito i consigli, era salito
fra gli ultimi.
Vicino al
portellone, vicino all’uscita. Ed era diventato uno degli ultimi, ma pari a
tutti gli altri.
L’acqua, in pieno mare, li aveva cullati.
I primi scogli della terra hanno tolto ogni dubbio al viaggio.
Li hanno trovati uno addossato all'altro.
Sconosciuti e intimi.
Chi li ha raccolti non è riuscito a contarli.
Si chiamano naufraghi, ma ognuno aveva un suo nome.
E, quasi nessuno, aveva mai visto il mare, prima di morirvi.
di Rebecca
Il 18 aprile del 2015
fra le 700 e le 900 persone hanno perso
la vita in una
naufragio nel Canale di Sicilia.
Pochissimi corpi sono
stati ritrovati.
Tutte le anime sono
rimaste nel Mediterraneo.
|
Nessun commento:
Posta un commento