La mamma sosteneva un concetto molto semplice:
ciò che è vero è reale.
Allora la Bambina cercava ovunque. Cercava qualcosa che fosse reale almeno per un poco. La mamma la chiamava
Bambina Scontenta. Che strano, il suo sorriso era bellissimo e la sua curiosità
degna di un’esploratrice.
La Bambina davanti allo specchietto del bagno - quello che da una parte eri normale dall’altra molto grande - cercava il suo vero nome, 'ché Scontenta davvero non le piaceva.
Mentre la
nebbia attutiva i rumori che provenivano dalla strada. Il vetro bagnato le
piaceva così tanto che quel giorno decise di chiamarsi Bambina Lacrime. E
iniziò a piangere, ma solamente perché era la stagione giusta. Solo perché, là
fuori, c’era più acqua che asciutto.
Scoprì come fosse possibile giocare alla
Principessa Triste ed essere felice.
Scoprì che quando gli occhi pizzicano se
si apre la finestra ed entra il freddo, per un po’, si riempiono di
fresco e diventano allegri.
Però arrivata sera le era chiaro che non poteva
essere quello il suo vero nome.
Perché il vero è reale e le lacrime oramai,
invece, non le uscivano più.
Il suo nome doveva essere un altro. Lacrime non è un vero
nome, è solo un piccolo momento. È un ginocchio sbucciato, un dispetto di un
compagno di classe, o quando Pocahontas resta a terra mentre John Smith va via
per mare.
Insomma la Bambina deve cercare ancora.
Dopo cena va a dormire. Nel letto si accartoccia
come la carta marrone delle caldarroste che il papà ha comprato qualche giorno
fa.
Le è chiaro il suono della mano che stringeva la carta e qualche avanzo di
castagna. La mano grande di papà che contiene tutto. Che impressione.
Così la Bambina si addormenta. Senza paura del buio ma con la paura che senza
un nome, durante i sogni, possa esser portata via, nel paese dei muti. Gli
unici che possono non avere nome.
Passano così molti giorni. La Bambina prova a
vivere nei suoi giochi e nelle sue fantasie la verità di chiamarsi Canzone,
Rondine, Virgola, Gioia, Fata. Ma nulla funziona.
Quel giorno poi, arrivata a fine pomeriggio,
proprio quando la mamma le chiede di lavarsi le mani per mettersi a tavola, la
Bambina dimostra segni di cedimento e, davanti allo specchio del bagno,
capisce che nessun nome è il suo, ci sono nomi per tante altre cose,
vere, ma non ancora il suo.
E così i rebbi della forchetta, per l’ennesima
volta, diventeranno i denti pericolosissimi di un serpente. Il purè nel piatto
si farà penetrare dalle lame, mentre le fettine in pizzaiola sanguineranno esalando preziose essenze. L’origano delle streghe e il potente
peperoncino che nutre il fuoco del drago combatteranno con rappresaglie spaventose.
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In realtà la Bambina ha un nome di battesimo, si
chiama Francesca. Vive con la sua mamma in una grande casa appena fuori città.
Una casa troppo grande per loro. Una casa che avevano prima che il papà se ne andasse. Prima che Francesca smettesse di parlare.
La Bambina sapeva benissimo
quanto fosse pericoloso non avere voce, ma non poteva fare altrimenti. Non riusciva a lasciare uscire le cose da lei. A volte titubava anche nel fare la cacca. Forse anche quella andava trattenuta, però
poi le sarebbe venuto il mal di pancia ed allora era meglio farla. Invece non parlare
la faceva sentire molto bene. Stare zitta le piaceva sempre di più: a casa, a
scuola, con le amiche, perfino col papà quando la portava allo stadio. In curva
sud, alle partite della Lazio. Il papà la stringeva forte durante
l’inno e c’erano tanti abbracci e qualche lacrima, ma Francesca cantava
solo dentro. Con tutto il fiato che aveva.
di Rebecca di Santo
Vorrei ragazze indipendenti, interessanti, idealistiche, gentili, caparbie, originali o divertenti.
C'è un migliaio di cose, prima di "magre".
J.K. Rowling
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